In pochi anni è diventata la più grande azienda di arredamento in quella che, del mobile e del design, è la patria riconosciuta nel mondo. Ma adesso Ikea accelera sul mercato italiano con ancora maggior decisione. Da poco ha annunciato investimenti, per il solo 2008, di 300 milioni di euro destinati a potenziare i suoi 13 negozi esistenti e soprattutto ad aprirne di nuovi, a Parma, a Rimini, a Salerno, a Trieste e a Torino. Altri seguiranno.
Perché l'obiettivo del gruppo svedese è di arrivare a triplicare il proprio fatturato made in Italy nel giro di cinque anni, come anticipa l'amministratore delegato Roberto Monti (nella foto): «Vogliamo crescere a un media del 10% annuo nei nostri punti vendita esistenti e aprire una media di tre nuovi negozi l'anno».
Triplicare il fatturato significa arrivare a sfiorare, solo in Italia, i 4 miliardi di euro, visto che oggi Ikea nel nostro Paese realizza quasi 1,3 miliardi di vendite sui 19,8 miliardi di euro che rappresentano il giro d'affari globale della casa svedese. Tre anni fa, Ikea Italia fatturava poco più di 800 milioni di euro. Data la frammentazione del settore, questi numeri si traducono in una quota di mercato del 5,4%, ma la prima azienda italiana del settore, Natuzzi, ha un giro d'affari di 735 milioni, mentre le altre si collocano mediamente sui 100-200 milioni di euro, con punte di 300.
Monti annuncia, poi, una seconda novità. Ed è che il gruppo svedese sta rivedendo, a livello centrale, la propria politica produttiva. «Dopo anni in cui Ikea ha ridotto e concentrato la produzione su alcuni produttori con molta capacità (in termini quantitativi), oggi abbiamo la necessità di avvicinare le fonti di produzione ai punti vendita, per rendere più veloce la distribuzione. Stiamo lavorando, continua l'amministratore delegato, per aumentare il tasso di consegne dirette tra produttore e negozio». Un ripensamento che coinvolgerà l'Italia che, oltre a essere un mercato di sbocco per il gruppo svedese, è anche il suo terzo Paese fornitore (quindici anni fa era il settimo). Anzi Ikea, qui, acquista più che vendere.
Molti nomi dell'arredo italiano riforniscono i magazzini svedesi, da Snaidero a Bormioli, a Natuzzi, a 3B. Altri, lo hanno fatto in passato, come Calligaris che ha poi scelto di puntare sul proprio marchio allargato dalle sedie, dove è nata, a tutto l'abitare.
Un cammino che ricorda molto da vicino quanto accaduto nell'abbigliamento, con l'arrivo delle grandi catene a basso prezzo, Zara (spagnola) ed H&M (svedese) in primo luogo. Dal primo negozio Zara a Milano, la moda italiana ha subito una trasformazione profonda, anche in conseguenza di quell'ingresso: le imprese hanno reagito disegnando un maggior numero di collezioni, aumentando la velocità di produzione e facendo, di quelle che erano seconde linee, delle prime linee a tutti gli effetti ma con prezzo più basso. Anche le catene straniere hanno incontrato la grande moda, come dimostrano le mini-collezioni che H&M affida a nomi come Stella Mc Cartney o Karl Lagerfeld.
Questo meccanismo, almeno finora, non sembra essersi ripetuto nell'arredamento con Ikea. Secondo Roberto Monti una delle ragioni è che in Italia «si parte dal presupposto che la qualità sia rappresentata dall'artigianalità, mentre invece è la capacità di industrializzare i prodotti».
«L'Italia sta cercando una via autonoma per mantenere la sua impostazione mediterranea, che non dev'essere perduta, dice Roberto De Martin, direttore generale di Federlegno-Arredo, la Confindustria del settore. Per noi sarà molto importante l'arrivo, ormai atteso, della normativa sull'etichetta di origine, che permetterà di fare chiarezza su cosa è l'eccellenza. E altrettanto importanti sono gli accordi tra aziende, come quello di 300 imprese del Veneto che si sono messe insieme e hanno concordato una azione comune».
Estratto da CorrierEconomia del 5/11/07 a cura di Pambianconews