Quello fatto ieri a Strasburgo potrebbe essere il passo decisivo verso l'introduzione del “made in”, l'etichetta di origine obbligatoria per alcune categorie di prodotti che entrano nella Ue. La dichiarazione ha raccolto 399 firme, sufficienti per essere adottata come se fosse una risoluzione approvata dall'assemblea plenaria. A questo punto gli Stati membri, attraverso le istituzioni che li rappresentano a Bruxelles, cioè la Commissione e il Consiglio europei, dovranno obbligatoriamente e «senza indugio» porre ai voti la proposta di regolamento per «l'indicazione obbligatoria del marchio d'origine» per prodotti tessili e capi di abbigliamento, gioielleria, oggetti di ceramica e vetro, scarpe, articoli in cuoio e pellicce, mobili e spazzole.
Il successo della raccolta delle firme a favore a Strasburgo potrebbe però essere il segnale di un importante cambiamento: la dichiarazione, promossa dalle associazioni Italian textile fashionItf, Assicor, Made in for Transparency, è stata sostenuta da tutti gli eurodeputati dei Paesi favorevoli, in primis l'Italia, ma anche da alcuni rappresentanti di nazioni del Nord, come la Germania, che hanno votato in contrasto con la posizione ufficiale del loro Governo.
Chiunque è libero di comprare scarpe made in China, ma deve sapere, oltre ogni ragionevole dubbio, dove sono state prodotte, sostengono le associazioni, che hanno accolto positivamente il risultato raggiunto ieri.
«Particolarmente soddisfatto» si è detto Paolo Zegna (nella foto), presidente di Smi-Ati (aziende del tessile-abbigliamento): «Ignorare il messaggio chiaro e forte, inviato dall'unico organismo direttamente eletto dai cittadini europei, sarebbe sbagliato nei confronti di centinaia di milioni di consumatori europei».
Estratto da Il Sole 24 Ore del 26/10/07 a cura di Pambianconews