Nicolas Ghesquière, lo stilista che nel '97 ha raccolto l'eredità di Cristobal Balenciaga, è fra i designer più quotati. Al grido di «La moda è fatta di selezioni ed eliminazioni». Iconoclasta e sperimentale. Gli anni Ottanta e i materiali futuribili. Le giacchette piccole e i pantaloni lunghi. «Imporsi senza esporsi», è il suo motto. Didascalia: «Il mio lavoro è fare vestiti e farli sfilare. È così che io mi esprimo, le mie collezioni parlano per me e riflettono chi io sono. Il resto non conta», dice.
Nicolas, allora, ultimo stilista di una lunga serie di «silenziosi». Capopopolo quel Martin Margiela che addirittura da 12 anni non si fa più vedere in volto. Ma pure Marc Jacobs ( Louis Vuitton), Stella McCartney, Alexander McQueen, John Galliano, non scherzano: restii al dialogo da sempre. «A dire il vero loro hanno cominciato molto prima di me…». Per dire che, insomma, è più giovane. Altra generazione. Clamorosamente «autodidatta», fra l'altro: né St Martin's, né Parson's, né Marangoni, possibile? «Da ragazzino ero timidissimo. Me ne stavo molto tempo da solo. Osservavo la gente, per strada. E leggevo, leggevo. Soprattutto riviste di moda, la grande passione di mia madre. Più che entrare nel mondo del fashion dopo, senza una scuola, è stato più duro capire di voler lavorare nella moda abitando un piccolo paese di provincia».
La storia, allora. Trentasei anni, nato a Commines, nel nord della Francia, ma vissuto a Loudun, la città dei demoni, a 15 anni (e non 11! come molte biografie riportano) era già un pendolare della moda: dal lunedì al venerdì a scuola, al paese dove papà era manager del golf club cittadino; nel weekend a Parigi ragazzo di bottega da Agnes B. L'anno dopo molla gli studi (giusto la scuola d'obbligo frequenta!) e si trasferisce nella capitale, chez Corine Cobson: «È stato il momento più duro, avevo 16 anni e una famiglia, ma amavo troppo la moda e il mestiere dello stilista per aspettare ancora». Dopo la Cobson, un po' d'ossa da Jean Paul Gaultier, Callaghan e pure Trussardi. «Così ho conosciuto un po' d'Italia e l'industria italiana e il mercato, passaggio obbligato per chiunque si avvicini alla moda!».
Nel '96 da Balenciaga ad occuparsi di licenze ma trova subito chi crede in lui e quando nel '97 Josephus Thimister lascia, Ghesquière raccoglie. L'anno dopo vince il Fashion Awards, l'Oscar della moda! Come dire: il silenzio paga. E pure il lavoro, i suoi collaboratori giurano che il «Nicolas» della moda lavora, lavora, lavora. Senza sconti, compreso quello dell'accesso agli archivi della maison Balenciaga (il couturier che inventò il taglio a uovo). «I primi anni non mi è stato permesso neppure di avvicinarmi, prima ho dovuto impregnarmi dello spirito della maison, del nome. Poi mi è stato consentito di avvicinarmi ai vestiti!». Una sacralità che pare fuori tempo, ora. «È una scelta personale, che ogni griffe fa. Balenciaga è lusso, dunque esclusività… Unito a un certo rigore monacale, sì. E un'indubbia sobrietà. Per una moda aneddotica».
Estratto da Corriere della Sera del 14/06/07 a cura di Pambianconews