Sono state settimane difficili per la moda italiana, colpita da un fuoco di fila di critiche da lasciare senza fiato. Si tratta di critiche ingenerose, specchio di una guerra commerciale che ha fasi alterne, ma intanto è riuscita a imporre sul palcoscenico del fashion una realtà quasi inesistente come New York. «Non esiste un'altra industria che ogni sei mesi fa harakiri e ricomincia da capo, come la moda. È un grande laboratorio di futurologia», dice Luciano Donatelli, presidente della Fondazione Biella The Art of Excellence.
Esemplare è il caso della Gianni Versace, marchio dall'immensa fama, che soltanto tre anni fa sembrava affacciarsi sull'orlo dell'abisso. Perdite altissime, debiti intorno ai 120 milioni di euro, futuro incerto. Oggi, dopo la ristrutturazione avviata nel settembre 2004 con l'ingresso del nuovo amministratore delegato Giancarlo Di Risio (ex Ittierre, ex Fendi) può guardare all'avvenire con ottimismo: praticamente estinti i debiti, giro d'affari intorno ai 276 milioni di euro, una visione strategica e di posizionamento precisa. «Abbiamo cercato di mantenere ben riconoscibile l'identità del marchio, ma al tempo stesso di accentuarne quelle caratteristiche del lusso che erano nel suo dna. In questa sfida Donatella Versace, che è il direttore creativo del gruppo, ha rivelato un'intensità e un'acutezza di giudizio che sono state fondamentali».
È proprio questa parola, lusso, tanto difficile da definire, la chiave della rinascita della Medusa, ma anche la questione centrale del nostro sistema moda. Di che cosa parliamo, quando parliamo di lusso? Concetto che è elitario, discriminatorio, tende a escludere e a selezionare, mentre adesso si applica allegramente a qualunque prodotto ben fatto. Secondo Di Risio, invece, bisogna analizzare il mercato con strumenti nuovi. «Immaginiamo di rappresentarlo con una piramide. Al vertice, si colloca il lusso contemporaneo che appartiene a pochissimi marchi. Un gradino sotto, il lusso accessibile di grandi griffe che però stanno allargando la produzione per coinvolgere un numero maggiore di clienti, vedi Louis Vuitton con le borse di jeans. Poi il lusso medio: buoni prodotti che non hanno però il personaggio di riferimento, l'atelier, l'autorità di una potente immagine pubblicitaria. Per finire i brand, notissimi ma di livello più basso».
Estratto da CorrierEconomia del 5/03/07 a cura di Pambianconews