Operazione fai-da-te. Sono sempre più le griffe della moda che optano per il ritiro delle proprie licenze dal mercato. Con l'obiettivo di avere un controllo diretto sulla produzione e sulla distribuzione delle collezioni che contano. «Nell'abbigliamento e accessori le royalty si aggirano sul 10-15% a seconda del prodotto: più il valore unitario del capo è basso, più il contributo richiesto al partner è alto» spiega Carlo Pambianco, fondatore dell'omonima società di consulenza specializzata nel segmento lusso. «A questo va aggiunto un contributo pubblicitario del 3-5%».
Sotto l'aspetto economico, insomma, il ricorso a un partner esterno è conveniente, a patto però che ci sia una completa sintonia su produzione e commercializzazione. Se questo non accade, può succedere per esempio che i licenziatari, inclini a spingere sui volumi, propongano il prodotto in punti vendita di livello troppo basso. È proprio per evitare simili rischi che c'è chi preferisce fare da sé. «Ma solo i grandi nomi, del calibro di Armani e Dolce&Gabbana, possono permettersi di avere alle spalle un'industria di proprietà» avverte Pambianco. «Per il brand di taglia medio-piccola, invece, affidarsi a partner esterni è l'unico modo per stare sul mercato».
Però c'è anche chi, pur avendo le risorse per fare da solo, sui segmenti meno strategici preferisce mantenere le licenze. «È il caso di Laura Biagiotti o Ralph Lauren: entrambi scommettono sulla flessibilità tipica di questo tipo di organizzazione». Tuttavia, per chi intende differenziarsi per la qualità sull'alto di gamma, come per chi vuole controllare meglio il posizionamento dei prodotti e la commercializzazione o evitare di gestire partner inadeguati, i vantaggi del fai-da-te sono indubbi. Ne sono un esempio Cavalli, Replay e Scervino.
Estratto da Economy del 16/02/07 a cura di Pambianconews