L'ultima operazione è della scorsa settimana, quando Itema, il braccio meccanotessile del gruppo, ha rilevato la svizzera Steiger, rafforzando ulteriormente la propria leadership mondiale, soprattutto nell'area asiatica. Ma ci sono anche centrali a biomasse, compagnie aree, impegni confindustrali, progetti di quotazione, grande distribuzione.
A Bergamo, nella sede centrale del gruppo Miro Radici, 1,4 miliardi di euro di giro d'affari consolidato nel 2006, quasi 2 miliardi l'aggregato, sono diversi i fronti aperti e segnano la trasformazione di una società nata nel tessile e nel meccanotessile e oggi fortemente spinta nella diversificazione. Destinazione finale: la conglomerata. Un processo che segue e accompagna non solo il cambiamento dei mercati, ormai globalizzati, ma anche quello interno della famiglia, con una generazione nuova.
Le quote dei Radici sono concentrate nella Sit-Fin, anche detta Miro Radici Group, posseduta dalla famiglia al 100%. Accanto a Miro e alla moglie Anna Maria Colombelli, partecipano direttamente al capitale i due figli, Marco e Nicola, ciascuno con il 3,46%, cui aggiungono un complessivo 2,32% in nuda proprietà e usufrutto ai genitori. Tessuti e telai rappresentano il cuore del gruppo. Il meccanotessile è concentrato nel gruppo Itema (controllato in modo paritetico dai due rami familiari, quello che fa capo a Miro e quello che fa capo ai discendenti di Gianni), il tessile nella Sit-In (tappeti d'arredamento, moquette e agugliati per il settore automobilistico) e nella MiroRadici Finance (filati e tessuti per la casa).
«Quest'anno, dice Miro Radici che, oltre a «sovrintendere» al gruppo, guida Itema, 700 milioni di euro di giro d'affari, siamo cresciuti di più con le macchine prodotte in Europa che non con quelle prodotte in Cina. C'è stato un riposizionamento dei clienti, che l'anno scorso sono tornati a investire. Ed era logico che succedesse: quando si parla di quantità limitate e qualità alta conviene comprare in Europa; lo vediamo anche noi con la nostra controllata Miro Radici Ag: per il 60% compriamo in Cina, ma per l'altro 40% compriamo in Europa. Con la stagione corta e con i negozi che non sono più disposti a fare magazzino, la Cina non è conveniente per tutto. La globalizzazione, aggiunge, offre molte opportunità, le imprese che trovano la giusta collocazione nella filiera hanno ancora un ruolo importante da giocare».
Estratto da CorrierEconomia del 5/02/07 a cura di Pambianconews