Ripartire dall'alta gamma, ricomporre la filiera, riorganizzare l'attività di promozione, accorpare le imprese e investire nei paesi emergenti. Ma prima ancora: garantire la trasparenza del mercato, riesumare la vecchia legge sul "full made in Italy" finita nel dimenticatoio alla fine della scorsa legislatura e fare pressione su Bruxelles per varare un provvedimento che istituisca un marchio di tracciabilità sui prodotti in circolazione nel mercato europeo. Queste le priorità che la Cna e il mondo delle pmi umbre della moda intendono rilanciare.
"L'esigenza di tutelare il made in Italy, introducendo l'obbligo del made in e debellando il dumping e la contraffazione del marchio è la strada migliore per valorizzare le nostre produzioni, salvaguardare la filiera, creare reali condizioni di reciprocità commerciali e garantire la riconoscibilità dei prodotti", afferma Mirco Tomassini, responsabile Cna Federmoda.
A riguardo la Cna ricorda che oltre la metà dei capi importati non rispecchia le prescrizioni comunitarie e circa il 40% dei capi venduti sul mercato europeo non presenta alcuna indicazione d'origine. Nel 2005 erano 75 milioni gli articoli contraffatti. "Queste cifre costituiscono una motivazione in più per trovare una soluzione al made in", commenta Tomassini. "Anche perché il riposizionamento competitivo delle imprese deve avvenire con l'aiuto di misure di sistema che non alterino la libera concorrenza ma che tutelino imprese e consumatori finali. Si andrebbe così a valorizzare il saper fare, il gusto e la fantasia che storicamente contraddistinguono i prodotti italiani e che rappresentano il cuore pulsante della nostra economia regionale".
Estratto da ItaliaOggi del 2/02/07 a cura di Pambianconews