Angelo Zegna è sicuro che la soluzione sia nella famiglia, nei valori che i genitori sanno trasmettere ai figli. Così, di fronte ai molti casi di imprese famigliari che cadono al passare delle generazioni, dice che la colpa maggiore è dei genitori «che non si fanno carico di dare un messaggio ai figli». Da poche settimane la Zegna, secondo gruppo dell' abbigliamento maschile alto di gamma con 713 milioni di euro di fatturato e quasi 53 di utile netto, ha completato un altro dei suoi passaggi del testimone, quello tra la seconda e la terza generazione. Aldo ha lasciato la carica di presidente al nipote Paolo, mentre la gestione è stata concentrata nelle mani del figlio Gildo, divenuto l'unico amministratore delegato.
«Paolo è molto tagliato per la carica di presidente, è un ottimo ambasciatore per il gruppo Zegna», dice Angelo. Fino all'annuncio della nuova governance, avvenuto poco prima di Natale, i due cugini Paolo e Gildo avevano condiviso la carica di amministratore delegato ma da tempo era apparso chiaro che si sarebbe andati verso una nuova organizzazione, avendo anche nel frattempo assunto Paolo l'impegno di presidente di Smi-Ati, gli industriali del settore. Un rivolgimento che è parallelo a un mutamento radicale nell'organizzazione interna della Zegna, che d'ora in poi sarà concentrata sul brand. E a giorni dovrebbe essere definitivo il nuovo organigramma.
I «nuovi» Zegna, quelli della quarta generazione, sono 11, sei dal ramo dei discendenti di Angelo, cinque da quello dei discendenti di Aldo. Alcuni di loro sono già impegnati con il gruppo e da tempo esiste un accordo per l'ingresso in azienda. «La formazione delle nuove generazioni è fondamentale, dice Aldo, che oggi è presidente onorario. I nostri giovani devono fare tutti un periodo di lavoro all'estero e sapere almeno un paio di lingue».
Sul futuro dell'industria italiana è ottimista. «Bisogna sapere trovare delle nicchie di mercato dice; prima nazionali e poi mondiali. È sempre più difficile, ma non impossibile, e casi come quello di Etro lo dimostrano. Le fusioni? Può darsi che servano, ma bisogna vedere bene che cosa si fonde. A mio parere la soluzione migliore è ancora quella di trovare delle nicchie di mercato e proiettarsi verso l'estero».
Estratto da CorrierEconomia del 8/01/07 a cura di Pambianconews