Si chiamano Luca's moda, Kiton o Zanella, nell'abbigliamento uomo, oppure Liu Jo, Celyn B in quello femminile, o ancora Brugi, Geo Spirit o Alberto Aspesi nello sportswear. Sono alcuni “campioni” delle medie aziende dell'universo moda, le eccezioni che raggiungono livelli di redditività pari a quelli delle grandi aziende (tra 7,7 e 13,6%). E che siano eccezioni lo dimostra il fatto che, in generale, se è vero che il fatturato delle aziende con ricavi compresi tra 20 e 100 milioni di euro nel 2005 è cresciuto (+6,2%) molto più di quanto era avvenuto nell'anno precedente, è anche vero che il tasso di sviluppo non è andato oltre la metà circa di quello dei grandi gruppi (+12,3%). E lo stesso vale per gli utili netti, che sono sì in aumento, ma un aumento appena percettibile (dal 2,1 al 2,3%) mentre le grandi aziende non solo guadagnano di più ma hanno incrementato i profitti in modo ben più sostanzioso (dal 5,2 al 6,3%).
«La crisi degli anni scorsi, spiega Carlo Pambianco, presidente dell'omonima società di analisi e consulenza per il settore moda e lusso, ha evidentemente favorito le aziende “virtuose” e penalizzato le altre». L'indagine da cui emergono questi risultati è stata realizzata da Pambianco, Strategie di Impresa su un campione di 275 aziende rappresentative dei vari settori dell'industria della moda: abbigliamento uomo e donna, sportswear, intimo, calzature, pelletterie, orologi, gioielli, profumi e cosmetica.
«Un altro punto di debolezza per il futuro delle aziende più piccole, sottolinea Pambianco, è dato dalla patrimonializzazione, cioè il rapporto tra patrimonio netto e capitale investito, nettamente inferiore a quello dei grandi gruppi: 37,9 rispetto a 52,1. Per affermarsi nel mercato, aggiunge, le imprese hanno sempre più bisogno di capitali, di investire in innovazione di prodotto, in comunicazione, distribuzione diretta, logistica e così via».
Estratto da Il Sole 24 Ore del 3/01/07 a cura di Pambianconews