«In cinque anni, dal 2000 al 2005, il nostro settore ha perso 100mila addetti, il 12% del totale. L'emorragia maggiore c'è stata nello scorso anno, con 53mila posti di lavoro in meno. Eppure il tessile-abbigliamento italiano conta ancora per un terzo della produzione dell'Unione europea a 25 e il tessile da solo per un quarto del totale». A scattare questa fotografia è Valeria Fedeli, segretaria generale della FilteaCgil e presidente della Federazione sindacale europea del tessile abbigliamento (Etuf). «Il processo di ristrutturazione dell'industria tessile è ancora in corso e non cesserà di essere doloroso: però non sono d'accordo con chi dice che il settore è maturo o addirittura decotto. Non esistono settori maturi, ma solo prodotti maturi. Le imprese lo hanno capito e stanno reagendo».
Un'analisi confermata da Michele Tronconi, imprenditore tessile e vicepresidente Smi-Ati, la federazione delle imprese italiane del tessile-abbigliamento: « I dati sul commercio estero resi noti nella scorsa settimana dall'Istat indicano che nel primo semestre del 2006 le esportazioni di tessile-abbigliamento sono cresciute del 3% rispetto allo stesso periodo del 2005. E il dato di luglio mostra un aumento ancora maggiore, del 3,2%, spiega Tronconi, che dal 1° gennaio 2007 sarà anche presidente di Euratex, la federazione europea delle imprese tessili. In altre parole, l'industria tessile non arretra, anzi: soprattutto nel Sud Europa, conquista spazi sui mercati internazionali. Se però l'export cresce in valore, la produzione italiana in termini quantitativi è scesa del 5%: vendiamo di più e produciamo di meno. Il valore unitario è salito perché è in corso un processo di riposizionamento delle imprese verso la produzione di fascia medio-alta o di lusso, dove possiamo essere competitivi su qualsiasi mercato».
Estratto da Il Sole 24 Ore del 12/09/06 a cura di Pambianconews