Dal 2000 a oggi le aziende del cinesi hanno investito oltre i propri confini meridionali circa 500 milioni di dollari. E' un fatto che segnala l'inizio di un trend e le cifre ufficiose racconterebbero forse la storia di un'invasione economico-finanziaria ben più poderosa. In Vietnam, infatti, vive una comunità cinese assai operosa: nella sola Ho Chi Minh City, la vecchia Saigon, ci sono oltre 23mila imprenditori cinesi che controllano circa il 30% dell'economia cittadina. Sono spesso attività di piccolo cabotaggio che sfuggono alla contabilità macroeconomica. La gran parte degli investimenti cinesi proviene dal manifatturiero “leggero” (tessile, scarpe, accessori, mobili) e di recente dall'industria motociclistica.
Lo sbarco massiccio delle aziende cinesi in Vietnam dimostra uno dei teoremi della globalizzazione: esiste sempre un posto al mondo dove si può produrre a costi inferiori. «La scelta di delocalizzare in questo Paese non è legata solo al basso costo della manodopera, osserva Jonathon Waugh, fund manager inglese che ha fatto fortuna scommettendo sulle privatizzazioni avviate nel 2000 dal Governo vietnamita. Gli imprenditori cinesi e taiwanesi sono attratti dal Vietnam anche perché qui trovano un ambiente imprenditoriale simile al loro».
C'è un altro motivo che ha spinto le aziende cinesi verso sud: la carenza di manodopera in patria. Dalla metà del 2004 la disponibilità di braccia nei bacini industriali del Guangdong, del Fujian e di Shanghai si è ridotta e i salari sono aumentati tra il 40 e il 50%. Gli imprenditori hanno dunque pensato di dare un'occhiata nel vicino Vietnam. Lì hanno scoperto che è possibile risparmiare almeno il 30% sul costo del lavoro; che i prezzi dei terreni sono convenienti; che al porto di Ho Chi Minh City gli spedizionieri applicano le tariffe più competitive del Sudest Asiatico. Che il Governo offre incentivi agli stranieri.
Estratto da Il Sole 24 Ore del 21/04/06 a cura di Pambianconews