Dopo due anni di battaglie per difendere il made in Italy Rossano Soldini, presidente dell'associazione che raggruppa le imprese calzaturiere italiane (Anci), vede luce all'orizzonte. Il 16 dicembre la Ue ha accolto la richiesta, avanzata da lui come da centinaia di industriali tramite il viceministro alle Attività produttive Adolfo Urso, di apporre l'etichettatura obbligatoria che segnala l'origine extraeuropea di sei categorie di prodotti. Tra cui proprio le calzature.
Etichettatura d'origine obbligatoria: significa che nessuno potrà più scrivere made in Italy su prodotti fabbricati altrove?
Sì. Otterremo ciò che negli Stati Uniti, in Giappone, e nella stessa Cina, è già previsto da anni: che il consumatore sappia da dove arriva ciò che sta comprando. Questa è anche una piccola vittoria su quelle lobby del Nord Europa che tutelano solo gli interessi della grande distribuzione.
Si parla anche di dazi per compensare la vendita di merci prodotte in Oriente e vendute sottocosto. Cosa è stato deciso?
Per ora sono previste procedure antidumping con dazi cornpensativi per le scarpe in pelle e per le cosiddette calzature di sicurezza da Cina, Vietnam e India. Ma anche in questo caso ci scontriamo con le lobby distributive dei paesi nordici. La Fesi, Federazione europea delle merci sportive, per esempio, ha cercato di aggirare i dazi chiedendo che ne vengano escluse quelle definite Staff, quelle cosiddette tecnologiche o riservate a use atletico. Ma basta un niente per fare rientrare in questa categoria migliaia di scarpe di uso quotidiano escludendole in questo modo dai dazi. Faremo di tutto perché nel provvedimento resti inclusa la voce calzature in senso lato. Inutile che vengano qui delegazioni cinesi a discuterne: la nostra posizione resta la stessa.
Si farà in tempo a rilanciare il settore calzaturiero, tra i più compromessi dalla concorrenza cinese?
Da gennaio a settembre 2005 hanno chiuso 320 imprese tra concerie, pelletterie e calzaturifici; e l'ultimo bollettino emanato dalla Ue parla di una crescita del 600 per cento dell'import di scarpe dalla Cina negli ultimi sette mesi dell'anno scorso. Per questo anche un solo mese per l'applicazione delle nuove norme è prezioso. Significa posti di lavoro salvati oppure no.
In futuro come sarà possibile controllare tutte le merci in arrivo?
La Turchia, che non è nella Ue, da tempo tutela le sue aziende dal dumping cinese e controlla i prodotti in arrivo con scrupolo. Un container può rimanere bloccato in dogana anche un mese. Gli stessi cinesi controllano le nostre merci in entrata nel loro paese. Non vedo perché non dovremmo farlo anche noi. Ci organizzeremo.
Estratto da Panorama del 13/01/06 a cura di Pambianconews