Dal distretto tessile di Prato arriva l'allarme per il cachemire contraffatto, la previsione di un aumento dei costi a fronte di una diminuzione della disponibilità, in quantità, della fibra, a causa della minore esportazione dalla Cina, e la richiesta di intensificare la lotta ai falsi marchi con l'etichettattura d'origine sulle importazioni così come è richiesto da altri settori produttivi del made in Italy.
Anche questa volta, manco a dirlo, il grande pericolo è la Cina, che è il paese maggiore produttore di cachemire dal quale l'Italia, che importa circa il 40% dell'intero commercio mondiale della fibra, acquista il 76% del cachemire che lavora. La percentuale sulle importazioni del cachemire in Italia precipita all'8% se si guarda dal Regno Unito, al 6,6% dalla Germania, al 4,6% dalla Mongolia, all'1,5% dall'Afganistan, all'1,8% dagli altri paesi europei e all'1,5% dall'Iran.
La fotografia arriva dal convegno “Kashmir: la produzione, il mercato, la qualità”, organizzato dall'Unione industriale pratese, con la Camera di commercio di Prato e la collaborazione di Smi-Ati e il contributo di Bsp, che si è svolto a Prato, distretto tessile che lavora una grandissima quantità di cachemire, nel senso che la fibra grezza importata viene filata, o tessuta oppure lavorata a maglia, passaggi propedeutici al confezionamento del capo di abbigliamento finito, tutte lavorazioni ad alto valore aggiunto.
Le prospettive non sono rosee, secondo Alvaro Brizi, di Angorbrizi manifatture tessili: “Le previsioni”, ha concluso, “parlano di incrementi di costo e diminuzione di quantità. Il mercato italiano del cachemire può ancora avere margini di sviluppo purché sia aiutato e sostenuto da una politica di studio e di ricerca investimenti in tecnologie favorite da incentivi da parte delle autorità centrali e dagli organismi di settore”.
Estratto da ItaliaOggi del 15/11/05 a cura di Pambianconews