La reazione ora c'è, e si vede. Si vede dalla ripresa dell'export (+4% nel terzo trimestre di quest'anno) e dall'aumento del numero di società di capitali (+6%, quando in generale le imprese della moda sono in continua diminuzione). Ma si vede soprattutto da quella che gli economisti chiamano “dispersione dei risultati”: si allarga il divario tra le imprese che sono riuscite a trovare le giuste strategie per affrontare il nuovo scenario competitivo e quelle che, invece, non le hanno individuate. La situazione si riflette chiaramente in un semplice dato: tra il 2002 e il 2004 un quarto delle imprese della moda ha registrato una crescita del fatturato superiore all'11% mentre un altro quarto ha accusato una perdita di ricavi superiore al 16 per cento.
È questo, in estrema sintesi, lo “scenario della moda italiana nel contesto macroeconomico internazionale” messo a punto da Gregorio De Felice, chief economist di Banca Intesa, che sarà presentato oggi in occasione del convegno organizzato con Pambianco Strategie di Impresa, su «Rinnovare il modello di successo del made in Italy». Le esportazioni, dunque, hanno ripreso fiato, e questo è un segnale positivo anche se, sottolinea De Felice, «forse è troppo presto per capire se sono gli effetti della ristrutturazione in atto o se si tratta di una reazione all'indebolimento dell'euro».
Da una ricerca che Banca Intesa ha realizzato su circa 300 Pmi del sistema moda, con l'obiettivo di capire perché alcune imprese crescono e altre sono in affanno, è emerso che i plus delle aziende vincenti sono innovazione, politiche di marketing e una dotazione Ict superiore alla media. E associata a questi elementi l'internazionalizzazione produttiva dà una marcia in più. «La delocalizzazione, sostiene De Felice è il minimo per stare sul mercato, il cip per cominciare a giocare. Poi bisogna fare molta innovazione» .
Estratto da Il Sole 24 Ore del 8/11/05 a cura di Pambianconews