´Alla dogana dell'aeroporto di New York l'ufficiale mi ha chiesto la ragione del mio viaggio. Ho una fabbrica qui, gli ho spiegato, e lui per tutta risposta mi ha detto: ma allora lei perde denaro. Anche i doganieri, ormai, sono convinti che produrre in occidente vuol dire rimetterci'. A parlare è Pier Luigi Loro Piana, amministratore delegato dell'omonimo gruppo tessile, negli Usa in occasione della manifestazione ´Wild about cashmere', tenutasi presso il megastore di Saks Fifth avenue, che invece non sembra pensarla allo stesso modo. Tanto che l'azienda è presente negli Stati Uniti, oltre che con negozi monomarca, con siti produttivi.
Perché ha deciso di delocalizzare in America mentre tutti si stanno muovendo verso Oriente?
Il nostro arrivo negli Usa risale al 1988. A quel tempo non era ancora diffusa come adesso la pratica di spostare la produzione al di fuori dell'Italia per sfruttare il differenziale salariale. E infatti noi ci siamo stabiliti nel Connecticut, con uno stabilimento che dà lavoro a 190 persone soltanto con l'idea di utilizzare l'impianto statunitense come trampolino di lancio per conquistare il mercato d'Oltreoceano.
La nostra strategia di espansione all'estero prevede la creazione di uffici diretti di distribuzione. In questo senso possiamo dire di essere presenti in Corea, in Giappone e anche in Cina, ma non ci interessa produrre all'estero i nostri filati, tessuti e prodotti finiti. Uno dei punti forti di Loro Piana è proprio il marchio made in Italy.
Al di là del problema Cina, quali sono i maggiori ostacoli alla crescita delle aziende in Italia?
Negli ultimi anni le imprese export oriented hanno subito dei forti danni dall'eccessivo apprezzamento dell'euro. Si dovrebbe tornare alla parità con il dollaro. Nelle nostre aziende non esiste niente che non si possa migliorare. In Italia servirebbe un incremento della produttività di almeno il 20%. Si deve poi risolvere il problema del cuneo fiscale. Bisogna che tutti facciano dei sacrifici, chi lavora e chi gestisce. L'Italia è ammalata di eccesso di garantismo.
Quale è, allora, la sua ricetta per uscire da questo stato di cose?
Come prima cosa è necessario accrescere il potere di acquisto delle famiglie attraverso l'aumento della produttività. In questo modo si creerebbe un circolo virtuoso di cui beneficerebbe il sistema economico nazionale. In questo senso, si dovrebbe accrescere la possibilità delle aziende di aumentare e di defiscalizzare la parte variabile del salario. Infine c'è bisogno di un maggiore investimento in innovazione. Fino all'inizio degli anni Novanta l'Italia era uno dei primi paesi a puntare sulla ricerca e sviluppo. Ma negli ultimi dieci anni o più il sistema si è arenato e in questo campo non riusciamo più a competere come prima con il resto del mondo.
Estratto da ItaliaOggi del 5/10/05 a cura di Pambianconews