Le piccole imprese della moda scendono in campo per dire la loro sulla guerra dell'etichetta scatenata dal Wall Street Journal che ha accusato le grandi griffe tricolori di produrre all'estero per poi etichettare in Italia una buona parte della loro produzione. ´Attenzione a far confusione fra il concetto di Made in Italy e di Italian concept (ossia i capi ideati in Italia ma realizzati all'estero)', spiega Oreste Baioni, segretario di Cna Federmoda, ´così si rischia di penalizzare fortemente chi lavora nel nome della tradizione, dello stile, del saper fare, della storia della moda italiana'.
Le pmi, insomma, non ci stanno a gettare alle ortiche con tranquillità il loro marchio, nel nome della moderna competizione globale. Anzi, difendono con forza la filiera della moda. ´Il Made in Italy è fatto di creatività, credibilità, servizi', dice Baioni. ´Per questo disapproviamo chi sostiene che il futuro del comparto stia nell'Italian concept, come ha fatto recentemente il ministro delle attività produttive Claudio Scajola'. Secondo le pmi della moda, anzi, occorre alzare il tiro dei controlli ed essere implacabili contro chi sostituisce l'etichetta straniera con quella italiana.
Ma a parte frodi, pirateria e falsi marchi, le piccole imprese della moda tornano a sottolineare l'importanza delle regole e della reciprocità rispetto ai mercati concorrenti, soprattutto quelli orientali. ´Tutti i dati a nostra disposizione rivelano che la moda italiana avrebbe un buon futuro se ci fossero regole condivise e universalmente accettate fra tutti i competitori', insiste Baioni. Si fa un gran parlare di protezionismo negativo, di necessità di apertura delle frontiere, di liberalizzazione dei mercati, di concorrenza, ma quella con cui le nostre imprese oggi fanno i conti è una falsa reciprocità, che altera la corretta concorrenza'.
Estratto da ItaliaOggi del 29/09/05 a cura di Pambianconews