Le aziende del gioiello si guardano allo specchio e si trovano invecchiate ma soprattutto piccole. Undicimila imprese, ognuna con meno di cinque dipendenti (4,6 in media) e solo due con più di 250 addetti. La concorrenza cresce, il consumatore cambia e la gioielleria italiana non si adegua. E senza aggregazioni, investimenti, marchi, il settore rischia un contraccolpo pesante. Di diagnosi e strategie per il settore si è parlato ieri al Forum del Gioiello, organizzato dalla Sda Bocconi e dal Club degli Orafi.
Il punto di partenza è la situazione di debolezza illustrata da Giacomo Bozzi, presidente di Richemont Italia, che ha fatto un confronto con l'attacco aggressivo che viene dall'Asia: «Un colosso indiano del gioiello ha 2.500 dipendenti e produce un milione e mezzo di pezzi l'anno». Bozzi suggerisce aggregazioni e alleanze e «differenziazione», il rafforzamento dell'identità di prodotto e di marca: “Oggi, ha detto solo il 14%o delle vendite di alta gamma sono con un brand».
I consumatori cercano marchi e identità, secondo Rossella Beato di Pambianco Consumer Research. Dall'altro lato, per la moda il gioiello è un'estensione importante, «come è successo con Gucci», spiega Giacomo Santucci, che dopo Firenze è approdato da Dolce & Gabbana.
“L'eccellenza sul prodotto non basta più: servono strategie su produzione e distribuzione, marchi e dimensioni maggiori”, sottolinea Francoise Izaute, presidente del Club degli Orafi.
Estratto da Il Sole 24 Ore del 7/07/05 a cura di Pambianconews