Neppure in periodo di saldi si devono trascurare il tessile di qualità, la lotta alla contraffazione, il made in Italy. Il settore del commercio si fa portavoce di quest'esigenza a favore di una maggiore trasparenza e chiarezza a vantaggio del consumatore. E insiste sul tema della tracciabilità del prodotto d'abbigliamento, ossia sull'introduzione dell'obbligo di indicare la provenienza sull'etichetta, così come già avviene per molti alimentari.
Questa le nuova frontiera indicata da Renato Borghi rieletto Presidente di Federazione moda Italia, la Federazione nazionale, aderente a Confcommercio, dei commercianti del comparto abbigliamento, moda, pelletterie, accessori: 30mila punti vendita in Italia, 30 miliardi di euro il fatturato nell' abbigliamento. «Veniamo, osserva Borghi, da un ciclo non positivo dell'andamento dei consumi che dura da quattro anni in particolare nel tessile-abbigliamento. Statisticamente, però, per il rinnovo ciclico del guardaroba, il 2005-2006 potrebbe segnare un'inversione di tendenza».
In Italia esiste l'obbligo di indicare in etichetta la composizione del tessuto «ma non quello di specificare il Paese di origine, aggiunge Borghi. Sono previsti dei parametri per cui su un prodotte può esserci scritto made in Ita13 se l'ultima fase della lavorazio ne è avvenuta nel nostro Paese» In pratica un articolo può essere stato realizzato in un Paese este ro fino all'ultimo stadio.
Esprime invece qualche riserva Borghi sulla costante richiesta di liberalizzare i saldi. « La legge asciutta ed essenziale, osserva,consente ai consumatori di capire le differenze tra le varie tipologie di vendite, grazie ai paletti che pone».
Estratto da Il Sole 24 Ore del 27/06/05 a cura di Pambianconews