Mentre a Milano per la prima volta si teneva la Conferenza strategica sulla moda, sostenuta e organizzata da un'alleanza inedita di istituzioni ed enti cittadini, l'attenzione vera e pulsante dei big del settore era tutta riservata al magnifico evento mondano di New York: l'inaugurazione al Metropolitan Museum of Art, della mostra su Chanel e, molto più importante, il Costume Institut Ball, organizzato da Anne Wintour, l'imperiale direttrice di Vogue America, dallo staff del museo e da Chanel, naturalmente. Ma per gli italiani sbrigativamente riassunto in «cena della Wintour» alla quale guai a mancare.
Ora, l'organizzazione degli show, e a ricaduta del sistema moda, è inevitabile, se Milano vuole recuperare peso e prestigio. Dire «qui non si cambia niente» è un errore che rischia di essere fatale, anche perché questa organizzazione è stata varata 50 anni fa, con riti di stagione e di tempi che adesso appaiono superati.
Le soluzioni possono essere infinite: far sfilare insieme l'uomo e la donna, come dice Renzo Rosso di Diesel, dimezzando i tempi. Posticipare gli show al momento in cui i capi stanno per entrare nei negozi (proposta di Armando Branchini, direttore generale di Altagamma). Predisporre un padiglione satellite per i giovani, sull'esempio di quello organizzato durante il Salone del mobile. Quello che appare cinico e violento è l'ipotesi di far convergere in quattro giorni i nomi che la stampa straniera ritiene importanti: 20, massimo 25, anche se per qualcuno sarebbero al massimo dieci, e poi succeda quel che succeda.
Estratto da CorrierEconomia del 9/05/05 a cura di Pambianconews