Dopo mesi di conflitto strisciante, a Bruxelles la questione dell'invasione tessile cinese scatena una guerra aperta tra Paesi europei. Tredici nazioni, tra cui Italia e Francia, hanno scoperto le carte e deciso di premere apertamente sul commissario al Commercio Ue, Peter Mandelson, per accelerare il processo di protezione contro il dilagare dell'import dalla Cina. In marzo, il ruolo di testa di ponte dell'industria tessile era stato affidato all'Euratex, l'associazione europea del settore, che aveva presentato a Bruxelles la richiesta per adottare su 12 tipologie di prodotto la clausola di salvaguardia prevista in sede Wto (cioè l'introduzione di limiti all'import di merci che mettono a rischio il mercato interno).
Bruxelles ha nicchiato e, all'inizio di aprile, ha preso tempo limitandosi a rilevare la necessità di un'indagine conoscitiva. L'inchiesta formale è partita due giorni fa su nove prodotti, ma potrebbe richiedere fino a due mesi. Troppo, se verrà confermato che da gennaio l'import di pullover cinesi è esploso di oltre il 500%, i tessuti di lana di più del 250 per cento. Invece, hanno preso posizione i governi italiano e francese. È vero che Roma ha bisogno di riaccendere i consensi verso il Palazzo, e che Parigi deve dare un sostegno al prossimo referendum sulla costituzione Ue.
Ma la mossa politica nasconde anche una contrapposizione industriale che fatica a rimanere sommersa. Da un lato c'è il blocco dei produttori tessili, di cui fanno parte, oltre a Italia e Francia, l'Europa meridionale e dell'Est. Dall'altro, c'è l'Europa della grande industria e della grande distribuzione che non ha alcun vantaggio nel frenare l'onda cinese.
Estratto da Finanza&Mercati del 26/04/05 a cura di Pambianconews