Distretto tessile tra i più importanti d'Italia, Prato vive tutti i problemi del settore. Ha volti diversi l'industria a Prato. Per cui le ricette di ciascuno dipendono dal tipo di azienda, dalle dimensioni, dal genere di produzione, dall'essere più o meno verticalizzata, dall'avere la possibilità di delocalizzare… Quella che è comune è la preoccupazione.
Piero Picchi è a capo di un gruppo di seconda generazione che produce tessuti, li esporta per il 90% e che ha un fatturato di 50 milioni. Ha una fabbrica a Prato con 120 dipendenti e, da diversi anni, anche una in Polonia, 300 dipendenti. Un'azienda di dimensioni molto importanti per Prato, dove sono tutte piccoline. Dice, infatti, Carlo Longo, presidente degli industriali locali, che «facendo un confronto con gli altri due grandi distretti tessili italiani, Biella e Como, la maggiore azienda singola di Prato ha un fatturato di 50 milioni, mentre a Biella la più grande ha 260 milioni e a Como 150 milioni».
Picchi è della categoria degli imprenditori preoccupati ma aggressivi: «Oggi stare all'industria tessile è come stare al fronte, osserva. E al fronte si va combattendo. Ci sarà una cura dimagrante, sparirà chi non è strutturato. Ma i nostri interlocutori sono sempre più grossi e hanno pretese sempre maggiori: noi dobbiamo essere in condizione di trattare e di non dire sempre sì. Globalizzazione significa sfruttare le risorse del globo per offrirle al consumatore al miglior prezzo. Noi dobbiamo cavalcare la tigre: avere la testa a Prato, visto che siamo i primi nel mondo, e le braccia fuori».
Estratto da CorrierEconomia del 7/02/05 a cura di Pambianconews