Chiedono un commercio «trasparente, equo e sostenibile», con le parole che, in genere, si usano per i Paesi in via di sviluppo. Ma sono le industrie del settore tessile e moda, ovvero il Made in Italy più avanzato e noto nel mondo. Un settore che, a livello nazionale, ha bruciato 80 mila posti di lavoro in quattro anni e che in Lombardia ne mette a rischio 13 mila. Con una crisi che non risparmia nessun comparto e colpisce i piccoli come i giganti.
«Qualche anno fa, alcuni miei amici al ritorno dalla Cina mi portarono un giubbotto Marlboro Classic, uno dei prodotti del mio gruppo. Solo che era totalmente contraffatto: mi dissero che l'avevano pagato 70 dollari, meno di quanto ci costa produrlo».
Gaetano Marzotto, presidente di Pitti immagine e consigliere di Sistema moda Italia cita un piccolo episodio per dare l'idea della «guerra commerciale» in atto. In occasione del «Textile day», assieme a Giacomo Castiglioni, vicepresidente Confindustria Lombardia, agli altri rappresentanti delle imprese tessili e ai sindacalisti ha presentato al presidente della Regione Formigoni la petizione «per un commercio trasparente, equo e sostenibile»; la stessa che è stata portata in molte prefetture lombarde, e a Palazzo Chigi perché arrivi all'attenzione dell'Europa.
Estratto da Corriere della Sera del 22/02/05 a cura di Pambianconews