Prezzi più bassi per riempire gli armadi europei in tempi brevissimi. Una volta superati i confini, la strategia cinese è un attacco in massa, una guerra lampo per stringere l'avversario in un angolo, giocando il tutto per tutto subito. L'importante è conquistare spazio sui mercati occidentali, a qualsiasi costo, per poi difendere una posizione di forza. Nel risiko della moda la Cina gioca così. Ha ridotto all'osso i margini di guadagno per cogliere di sorpresa gli avversari. Ha dimezzato i prezzi per raddoppiare o addirittura quintuplicare la sua presenza sul mercato. Lo ha fatto con i pochi prodotti liberalizzati tre anni fa e adotterà la stessa strategia adesso che tutto il tessile-abbigliamento è «libero», senza le quote che imponevano un tetto massimo di importazioni ai Paesi europei.
Nel 2002 sono caduti i primi vincoli su alcuni capi di abbigliamento che valgono un quinto dell'import cinese. Sono scomparsi sulle giacche a vento e in tutta Europa la quota cinese sulle importazioni si è quintuplicata (+395%) con l'aiuto di un prezzo medio ridotto di due terzi: da poco più di diciotto euro nel 2001 ai 6,6 euro di oggi. Il grosso del taglio è arrivato subito, non risente dell'euro forte, e oggi sette giacche a vento su dieci comprate all'estero arrivano dalla Cina.
La tendenza non sarà la stessa su tutti i prodotti, visto che in alcuni casi le prime liberalizzazioni sono arrivate su articoli ormai trascurati dal made in Italy. «Ci saranno comunque spinte forti su prodotti importanti, come camicie, pantaloni e gonne», spiega Francesco Marchi, dell'associazione europea dei produttori Euratex. E serviranno a poco i dazi annunciati da Pechino per «frenare» l'esplosione, secondo Marchi. «Si tratta di cifre risibili: le notizie che trapelano parlano di una forbice da 2,6 a sei centesimi di dollaro a pezzo. Nulla».
Estratto da Il Sole 24 Ore del 11/01/05 a cura di Pambianconews