Pino Rabolini, che quasi quarant'anni fa, nel 1967, fondò la Pomellato, è un uomo dai molti interessi: teatro, arte, viaggi. Non è stato un passaggio facile né indolore e il primo inserimento di manager dall'esterno ha portato a tensioni e a un appannamento del marchio sul mercato, finché il 9 luglio 1999 è entrato, nel ruolo di amministratore delegato, Francesco Minoli, laureato in giurisprudenza, ma esperto di analisi finanziarie e oggi, socio con un 8% delle azioni destinato a crescere. Per parlare di questo caso felice, abbiamo chiesto a Pino Rabolini, che da dieci anni non rilascia interviste, di partecipare a una conversazione a più voci con Francesco Minoli e Corriere Economia. Rabolini: «Sono convinto che il futuro delle aziende è indipendente dalle famiglie. Sono il lavoro, la creatività, la gestione che devono prevalere, al di là di chi detiene il 51%».
Si dice che per l'imprenditore l'azienda è come un figlio.
Rabolini: «Non nel mio caso. Voglio fare una premessa: mio nonno era orafo in Gallarate. Laboratorio vicino alla casa, si usciva dalla villa, si attraversava il giardino e si entrava subito nel lavureri, come veniva chiamato. Mio padre aveva un'attività di commercio all'ingrosso a Milano. Quando ci siamo trasferiti qui, ho voluto andare subito a lavorare, iscrivendomi alle scuole serali e frequentando quello straordinario ambiente intellettuale che gravitava intorno al Bar Giamaica. Devo a questa formazione irregolare e senza barriere il progetto di Pomellato».
Minoli: «Naturalmente, visto che l'aveva nel Dna, si trattava di un progetto di oreficeria».
Manager in un'impresa a controllo familiare: non è semplice.
Minoli: «È difficilissimo perché la figura del manager è fortemente sottomessa alla logica familiare. Credo di essere stato veramente baciato dalla fortuna perché Pino mi ha messo le chiavi in mano e mi ha detto “pedala”. Peraltro, credo che il nostro sodalizio funzioni bene per due caratteristiche precise: Pino ha una sensibilità più creativa e di marketing che gestionale, e gli costava fatica reggere il peso dell'organizzazione».
Rabolini: «Agli esordi, quando eravamo in dieci, riuscivo a far quadrare tutto. Poi è diventato sempre più complesso».
Minoli: «Io invece ho sempre privilegiato lo sviluppo del processo e l'organizzazione. Ero un generale senza esercito prima della Pomellato e grazie a Rabolini ho acquistato anche quella sensibilità al prodotto e al marketing che adesso mi permette di capire una collezione. Ma abbiamo in comune anche un secondo particolare: riteniamo che l'azienda sia un patrimonio della collettività, intesa come capacità di dare benessere e sostenere un pensiero culturale. Certo, la funzione del manager e dell'imprenditore è di trarre un beneficio, ma anche di alimentare un progetto che si riflette sulla società».
Estratto da CorrierEconomia del 10/01/05 a cura di Pambianconews