«Una politica monetaria più attiva da parte della Banca centrale europea sarebbe non solo auspicabile ma altamente meritoria». Paolo Zegna parla in proprio, come amministratore delegato della Ermenegildo Zegna, uno dei maggiori gruppi mondiali dell'abbigliamento maschile di alta gamma, ma parla soprattutto come presidente di Sistema moda Italia, l'associazione degli industriali del tessile-abbigliamento. Perché non c'è dubbio che il rapporto euro-dollaro sia uno dei nodi centrali della crisi che sta vivendo il made in Italy, uno dei settori portanti dell'economia italiana con i suoi 70 miliardi di euro di fatturato e 16 miliardi di saldo tra esportazioni e importazioni. Per due ragioni, soprattutto. La prima è che con un livello dei cambi di questo genere per le aziende italiane diventa più difficile esportare nei mercati dell'area dollaro; e oggi anche beneficiare della ripresa che in queste aree si registra (a differenza dell'Europa).
E, così, calano i fatturati e calano soprattutto i guadagni. Le aziende per restare competitive finiscono spesso per ridurre i prezzi dei prodotti che vendono Oltreoceano. Un esempio può essere utile: un gruppo come Prada, uno dei maggiori del lusso mondiale con i suoi 1,36 miliardi di ricavi, lo scorso anno ha dovuto segnare 100 milioni di euro in meno di fatturato solo a causa delle differenze di cambio. Cioè, una cifra pari al giro d'affari di una media impresa italiana.
La seconda ragione è, se possibile, più grave. Ed è che la debolezza della valuta americana rende ancora più aggressiva la concorrenza cinese (che già può contare su un costo del lavoro bassissimo) dal momento che il renmbinbi (o yuan), la moneta locale, è agganciato al dollaro e ne segue l'andamento. Andando a pesare soprattutto sulla piccola e media impresa che non può contare su una struttura globale e su marchi ormai affermati.
Estratto da Corriere della Sera del 10/12/04 a cura di Pambianconews