La settimana scorsa industriali e sindacati tessili hanno firmato un accordo congiunto per la competitività. Nel documento le due parti mettono in luce il quadro molto difficile che potrebbe ulteriormente peggiorare tra pochi mesi quando, con il primo gennaio 2005, scadrà l'accordo Multifibre e con esso spariranno anche le quote di importazioni ancora oggi presenti. «Un accordo importante e un rapporto positivo con il sindacato che speriamo sia di esempio per altri», dice Paolo Zegna, presidente di Sistema moda Italia, l'associazione degli industriali del tessile.
Però proprio ora uno dei marchi simbolo del made in Italy, Gucci, sta vivendo un cambiamento profondo e ci sono avvisaglie di possibili delocalizzazioni produttive. Le produzioni italiane continuano a impoverirsi…
«A mio parere, ma voglio essere chiaro: parlo in generale, non di Gucci su cui non intendo dare giudizi, le delocalizzazioni non sono da demonizzare. Non si può dire “è tutto negativo”. Credo che ogni azienda debba andare a vedere dentro la sua realtà, i propri obiettivi e i propri programmi, quello che può fare e quello che non può fare. Ogni azienda deve capire cosa fare da grande, e va detto che c'è davvero la necessità di diventare grandi: in un mondo così globale, tranne che per poche nicchie, ingrandirsi è una necessità di tutti».
Delocalizzare è la strada per diventare grandi?
«La delocalizzazione va vista all'interno di un processo strategico. Ma non si deve pensare nè che sia una soluzione facile, perché si perde un valore importante come il made in Italy e perché richiede investimenti, tempi e persone che si devono mettere in preventivo; nè la si deve vedere come una soluzione impossibile: dietro a chi dice “io non la farò mai” non vorrei che ci fosse un aspetto rinunciatario. Bisogna essere aperti, proteggersi e allo stesso tempo avere un aspetto proiettato all'attacco. Altrimenti ci si chiude in un guscio e poi ci si ritrova nell'angolo».
Tutti questi capitali francesi in alcuni dei più importanti brand italiani non la preoccupano?
«E qual è l'alternativa? Dipende sempre dalle dimensioni: noi abbiamo un sistema che si basa su piccole realtà che non possono comprare i grandi. Certo, bisogna sperare che determinati elementi del made in Italy non prendano strade sbagliate. Ma Gucci nel mondo è una realtà italiana».
Estratto da CorrierEconomia del 1/11/04 cura di Pambianconews