Archiviati tre anni di crescita a due cifre, Pomellato punta per il biennio 2005-2006 a una politica di sviluppo che incentivi il marchio Dodo e le vendite all'estero. L'azienda, inserita nell'ultima indagine Mediobanca tra le dieci “lepri” dell'economia italiana, le società con i più alti tassi di crescita, ha terminato la fase di ristrutturazione avviata nel 1999 e oggi conta su risorse interne senza pensare alla Borsa.
Come ha spiegato Francesco Minoli, amministratore delegato e azionista del gruppo con un 8% destinato a salire nel medio termine al 20 per cento. Per quanto riguarda i conti, il manager ha stimato, sulla base dei risultati dei primi otto mesi dell'anno, un utile lordo per l'intero 2004 di 13,9 milioni di euro, dai 12,8 del 2003, su un fatturato in crescita del 16% a 88 milioni di euro. Nei primi otto mesi del 2004 i profitti prima delle imposte sono saliti a 9,3 milioni da 5,7 di un anno prima, su ricavi di 53,2 milioni da 44,2. Minoli, che non ha fornito una stima numerica sul risultato netto, si è limitato a dire che «il tax rate dell'azienda è molto elevato, intorno al 46 per cento».
Tra i piani dell'azienda al momento non c'è la quotazione. «La nostra è una produzione artigianale (con una fabbrica-laboratorio modello nel centro di Milano, ndr), che desideriamo sviluppare a tassi di crescita non imposti da obiettivi di rendimento finanziario. Il progetto Pomellato non si concilia con il progetto Borsa, soprattutto oggi che l'azienda è risanata», ha sottolineato l'ad.
Estratto da Il Sole 24 Ore del 8/09/04 a cura di Pambianconews