Sono pochi, ma molto determinati: vogliono tornare a essere i primi nel mondo. Per centrare l'obiettivo i produttori di cappelli made in Italy già alla fine dell'anno scorso hanno lanciato il progetto Hats Italian Style che è anche il marchio che contraddistingue le aziende che aderiscono all'iniziativa. Con regole molto ferree, però. A cominciare dal fatto che lo possono utilizzare solo le imprese che hanno sede e lavorano dentro i confini del Bel Paese, e producono nel pieno rispetto dell'ambiente e dello sviluppo sostenibile.
A distanza di pochi mesi dal debutto, nei giorni scorsi i cappellai nostrani hanno portato a casa una vittoria: la Federazione Industriali dei Tessilivari e del Cappello, ha stretto il primo accordo di settore con il ministero per il Commercio Estero.
«E' solo l'inizio, racconta il presidente della federazione, Giorgio Giardini, abbiamo messo le basi per portare avanti progetti di valorizzazione del made in Italy. Lavoreremo su nicchie a alto valore aggiunto, come la creazione di un Osservatorio sull'interior design tessile, la realizzazione di eventi all'interno delle manifestazioni internazionali in collaborazione con grandi architetti come Ugo la Pietra e Denis Santachiara, focus group mirati di tendenza all'estero per Moda In (la fiera del tessuto abbigliamento e accessori) e, la presenza di Hats Italian Style nelle maggiori fiere mondiali».
«E' un accordo importante, commenta il direttore della Federazione Tessilivari, Rietta Messina, perché interviene a sostenere una nicchia di mercato molto specializzata e che da tempo investe nell'innovazione e nella ricerca». Oggi nel comparto del cappello lavorano 250 imprese. Parliamo solo di quelle che hanno da 5 a 45 addetti, poiché è difficile censire le altre che praticamente sono piccoli laboratori artigianali. Il grosso dei cappellai è concentrato in due grosse aree: Firenze e dintorni e il cosiddetto Fermano (nella zona che circonda Ascoli Piceno, tra i comuni di Montappone e Massa Fermana). Poi c'è anche un piccolo distretto a Monza (in Lombardia) e a Napoli. Il bilancio 2003 ha chiuso con un fatturato totale di 150 milioni di euro, di cui la maggior parte (90 milioni) è arrivata dalle esportazioni.
Estratto da Affari & Finanza del 7/06/04 a cura di Pambianconews