Da un lato la peculiarità del tessuto industriale italiano. Dall'altro una certa diffidenza culturale nei confronti della Cina. E' in questi due fattore secondo il console cinese in Italia, Ming Junfu, che si radica la refrattarietà delle imprese italiane a investire nell'area orami definita il motore economico del prossimo decennio.
La ragione di questa scarsa propensione italiana a investire in Cina è legata a lacune pubbliche o private?
Sono due fattori interdipendenti. Le vostre imprese sono in gran parte aziende familiari, dai 50 ai 200 dipendenti e dimensioni di questo genere non facilitano il reperimento di risorse finanziarie; d'altro canto, un tessuto industriale di questo tipo andrebbe supportato da politiche economiche capaci di favorire l'internazionalizzazione, che sono ancora insufficienti.
Il tessile per la Cina rimarrà un settore strategico?
In Cina dopo l'ingresso nel Wto e l'avvicinarsi alla cancellazione delle quote legata all'accordo multifibre, è in atto la ristrutturazione di interi settori industriali. L'orientamento strategico è muoversi verso l'high tech, anche nel tessile. Il problema è che alcune aziende usano tecnologie vecchie da rinnovare integralmente. Altre, invece, usano ottime tecnologie, spesso italiane; ma il semplice possesso di macchinari non implica la capacità di saperle usare al meglio, che è da sempre prerogativa italiana.
Estratto da CorrierEconomia del 17/05/04 a cura di Pambianconews