Dopo l'acciaio europeo, le vestaglie e i reggiseni cinesi. Il secondo schiaffo dell'amministrazione di George Bush alla teoria liberista in materia di commerci ha ancora le fattezze di un'imposizione doganale. Un anno e mezzo fa era venuta quella sull'import siderurgico (poi considerata illegale dal Wto, l'organizzazione mondiale del commercio), ora negli States si limita l'ingresso di alcuni prodotti tessili made in China. Ed è uno schiaffo che irrita Pechino, mentre lascia vigile e per ora silente l'Ue. La scelta di porre restrizioni, «temporanea» secondo i governanti americani, è caduta su tre precise categorie d'abbigliamento: reggiseni, vestaglie e camicie da notte, oggetti di maglieria, provenienti dal gigante asiatico. Tutti prodotti che, secondo precedenti accordi tra i due paesi, non dovevano eccedere il 7,5% delle importazioni navali dalla Cina, mentre sarebbero arrivati negli Usa in quantità maggiori.
Lo conferma la crescita dell’import tessile cinese nei nove mesi 2003, che ha spaventato il governo di Washington spingendolo a cercare ripari non contemplati dalla cultura del libero mercato. Secondo alcuni dati di settore Usa, infatti, nel periodo le importazioni cinesi di reggiseni in cotone sono salite del 53%, a fronte del 39% degli oggetti di maglieria e del 141 % delle vestaglie in cotone. Non sono numeri che possano piacere agli americani, che nel 2003 stimano un deficit commerciale di 120 miliardi di dollari con la Cina, e temono che i 2,6 milioni di disoccupati prodotti in tre anni dal settore manifatturiero possano aumentare. La decisione «dimostra l'impegno dell'amministrazione Bush nei confronti dei lavoratori americani, ha detto Don Evans, segretario al Commercio, credo che questa misura permetterà di far avanzare i futuri rapporti con la Cina, poiché nessun mercato opera correttamente senza un dialogo aperto».
Intanto la Confindustria presenta una ricerca dove emerge che solo il 22% delle Pmi vuole i dazi sui prodotti cinesi. Il sondaggio era rivolto a 500 imprese manifatturiere della provincia di Vicenza, un campione significativo in chiave nazionale. Le imprese intervistate hanno sentimenti misti verso la Cina, ma sul timore prevale il desiderio di cogliere le opportunità. Il 34% ha relazioni con la Cina, dei restanti, oltre due terzi vogliono avviarle. E solo un quinto del totale vede nei dazi una soluzione, anche se almeno il 75% è preoccupato dalla concorrenza a basso costo ed il mancato rispetto delle norme sul lavoro.
Vedi tabella che segue
Estratto da La Repubblica del 20/11/03 a cura di Pambianconews