«Nei prossimi due anni la moda italiana dovrà affrontare un processo di ristrutturazione simile a quello vissuto, non senza dolore, dal settore bancario». Per Gregorio De Felice, capo economista di Intesa, il made in Italy non ha più margini per rimandare il turnaround. Quest'anno la produzione chiuderà con un calo attorno al 2% e la ripresa (con recuperi non superiori al mezzo punto percentuale) è rimandata al prossimo anno. Ma restano problemi strutturali: l'export italiano è in ribasso dall'ultimo quarto 2002 e, fatto ancora più grave, «è negativo anche verso gli Usa, ha sottolineato De Felice, l'unica area dove i consumi sono ripartiti». In più, a riprova di una pericolosa fragilità, sono in caduta libera le quote di mercato e gli indici di redditività. Se anche questi rialzeranno la testa dal 2004, resteranno sempre lontani dai livelli dei primi anni Novanta. De Felice ha parlato in occasione dell'incontro organizzato da Intesa e da Pambianco Strategie d'Impresa sui nuovi scenari del settore del lusso.
«Le regole del gioco, è intervenuto Carlo Pambianco, sono cambiate e oggi non è più sufficiente fare affidamento solo sulla forza del marchio, anche perché la crisi ha fatto emergere protagonisti agguerriti sul piano di velocità e prezzo». L'attuale fase di ristagno, ha fatto notare Mario Boselli, presidente della Camera nazionale della Moda, «per la prima volta ha colpito duro le filiere e i distretti, i veri baluardi della nostra imprenditoria». Baluardi che, anche secondo Vittorio Giulini, presidente di Sistema Moda, «occorre riuscire a difendere». Spiragli di ottimismo li ha portati il viceministro alle Attività produttive, Adolfo Urso, che ha annunciato un budget triennale di 400 milioni previsto in Finanziaria per la promozione del made in Italy. Urso ha annunciato la defiscalizzazione delle spese per ricerca e sviluppo, anche quelle legate ai campionari (costo cui la moda è particolarmente sensibile).
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Estratto da Finanza&Mercati del 7/11/03 a cura di Pambianconews