Le informazioni congiunturali aggiornate al terzo trimestre del 2003, ci consegnano un quadro ancora negativo per l'industria italiana dell'abbigliamento, maglieria e calzetteria. Né sul fronte delle vendite né su quello dell'attività produttiva sono infatti emersi segnali di una inversione di tendenza, anzi, il fatturato complessivo delle 250 aziende del campione ha mostrato nel terzo trimestre dell'anno una flessione tendenziale dell'ordine del 4,7%, mettendo a segno il risultato peggiore degli ultimi tre anni.
A differenza di quanto sperimentato lo scorso
anno, nel 2003 sono le fonti estere di domanda
a mostrare i risultati peggiori: penalizzate dalla
debole congiuntura UE e dal rafforzamento
dell'euro vis à vis del dollaro, le vendite oltre
confine delle aziende italiane hanno perso terreno
a ritmi del -6% nel secondo trimestre
(ovvero nei mesi in cui si è manifestato lo
shock sul fronte dei cambi) e del -5% circa nei
mesi estivi di quest'anno.
Fino a tutto il primo semestre, i risultati di
vendita (in termini di sell-in) sul mercato interno
sono risultati meno penalizzanti e
l'attenuazione delle spinte ribassiste registrate
nel secondo trimestre lasciavano intravedere
la possibilità di un'uscita dalla lunga fase recessiva:
le informazioni sul terzo trimestre
dell'anno hanno invece smentito questa possibile
evoluzione. Nel periodo giugno-agosto, infatti,
anche la capacità di assorbimento del mercato retail
italiano, penalizzata da consumi finali di abbigliamento
ancora al palo, si è ridotta sensibilmente
ed anche in questo caso la flessione tendenziale
registrata, risulta, per magnitudo, la più
consistente della storia recente del comparto.
Risultati così deludenti sul fronte delle vendite
hanno avuto importanti ripercussioni
sull'attività produttiva settoriale che ha continuato
a perdere terreno a ritmi tendenziali vicini
al -2% sia nel secondo che nel terzo trimestre del
2003. Tale risultato si è prodotto soprattutto in
seguito ai cedimenti di nuovo consistenti (dopo
la falsa partenza del primo trimestre) per la produzione
realizzata all'interno dei confini nazionali
(che rappresenta l'85% del totale). La produzione
delocalizzata (il cui peso relativo sul totale
risulta del 15% per le aziende del campione),
infatti, ha ricominciato a svilupparsi a ritmi non
trascurabili come conseguenza di strategie delle
aziende volte a compensare la perdita di price
competition sui mercati extra-UE indotta dal rafforzamento
del cambio, con qualche vantaggio
di costo connesso dal ricorso a fattori di produzione
esteri.
Fino a tutto il 2002, le aziende dell'AMC italiano
del campione SMI, pur in un contesto
congiunturale sfavorevole, hanno continuato a
creare occupazione. Dall'inizio di quest'anno,
invece, si è assistito a fenomeni non trascurabili
di riduzione che rischiano di azzerare in
breve tempo i risultati positivi degli anni scorsi:
nel primo trimestre di quest'anno si è misurata
una flessione occupazionale prossima al
3%, ma anche nei trimestri successivi gli addetti
complessivi hanno continuato a ridursi.
Come prevede la teoria economica dunque, gli
effetti del ciclo produttivo si stanno scaricando
con ritardo su quello dell'occupazione.
Per quanto riguarda l'intensità che i vari fenomeni
descritti hanno avuto nei 16 comparti dell'industria AMC monitorati, gli indicatori di
diffusione della Figura 4 (che misurano, per le diverse variabili, la percentuale dei settori in sviluppo
rispetto al totale) mostrano che la varianza di performance più volte sottolineata nelle ultime
note congiunturali si sta riducendo: nel terzo trimestre di quest'anno, infatti, flessioni sul
fronte del fatturato e della produzione hanno interessato circa i 4/5 dei settori analizzati, mentre
per ciò che attiene l'occupazione, flessioni si sono manifestate in sette dei sedici comparti
monitorati.
Le informazioni sulla raccolta ordini (Figura 5) per la prossima stagione estiva (P/E) 2004 non
lasciano spazio all'ottimismo: al termine della peggior stagione di saldi degli ultimi anni, le politiche
di approvvigionamento dei retailer italiani sono risultate molto caute e si sono riflesse in
un sell-in (misurato a prezzi costanti) in calo del 6,3% circa. Leggermente meno negative le indicazioni
pervenute dai mercati esteri (-4,5%) dove il punto di minimo del ciclo della domanda
rivolta all'industria sembra essere stato superato.
In definitiva, le informazioni congiunturali
più recenti evidenziano un'ulteriore rinvio
dell'appuntamento con la ripresa economica e
le speranze delle aziende si spostano sulla
campagna ordini per la prossima stagione invernale
(A/I) 2004: l'andamento di
quest'ultima dipenderà in modo significativo
dal sell-out dei mesi finali del 2003 e
dall'impatto che la ripresa già evidente in alcuni
indicatori macroeconomici internazionali
avrà sulle decisioni di acquisto del trade.
In questo senso, migliori della media sembrano
risultare le potenzialità dei mercati asiatici
e degli Stati Uniti, anche se l'apprezzamento
dell'euro verso il dollaro (che è la valuta di
conto anche per le transazioni con Cina e Far
East) sta costringendo le aziende italiane a sacrifici sul fronte dei margini unitari.
Nessun significativo segnale di inversione di tendenza sembra invece provenire dai mercati
UE.
Gli effetti positivi della (moderata) ripresa dei mercati finali risulteranno tuttavia visibili
sull'attività produttiva del settore solo nel primo semestre del prossimo anno.