Quando, ai primi di settembre, si è insediata nei locali ex Fiorucci nei pressi di Piazza San Babila (Milano), c'erano i buttafuori per respingere il mare di teen ager all'assalto del made in Sweden. Eppure per il colosso Hennes & Mauritz lo sbarco in Italia è stato il più sofferto e il più a lungo ponderato. Entrare nel santuario della moda e infrangere la barriera del made in Italy (formula magica dell'industria tessile italiana) è stato difficile anche per il plurimiliardario Amancio Ortega, patron di Zara, marchio di punta del gruppo Inditex (1.300 negozi in 44 Paesi con le catene Pull&Bear, Massimo Dutti, Bershka, Stradivarius, Oysho e Zara), che vanta una crescita anno su anno del 27% dal 1998.
Eppure catene come Zara, H&M, la spagnola Mango, e in parte l'americana Gap sono ormai i modelli rispetto ai quali si devono confrontare alcuni gruppi nazionali in crisi evolutiva come Coin o addirittura l'antesigano del negozio monomarca Benetton. Se questi segnano il passo, Mango, che è passata da 630 negozi nel 2002 a una stima di 799 punti vendita nel mondo entro fine anno, ha dichiarato di voler crescere in Italia dove ha già aperto 11 negozi.
Il target di Zara per l'Italia è di 3-5 nuovi punti vendita all'anno. Analogo l'obiettivo di H&M (che ha mille punti vendita nel mondo) visti i primi riscontri positivi dell'area ex Fiorucci. Il punto di forza di queste catene, spiegano gli esperti, sta nel presidio di tutto il processo produttivo, dalla creazione fino alla distribuzione del modello sotto un unico cappello.
Estratto da Borsa&Finanza del 18/10/03 a cura di Pambianconews