Due euro e trenta. Un paio di scarpe si importa dalla Cina al prezzo di tre caffè al bar, imballaggio e trasporto compresi. Ogni mese passano la dogana dieci milioni di paia di scarpe cinesi a 2,3 euro ciascuno: la cifra, come ogni media, nasconde anche prezzi più bassi, calzature da un euro, se non meno. Dall'Italia ne escono 25 milioni al mese, che valgono 19 euro al paio. Impossibile competere sui costi: così, gli acquisti dalla Cina aumentano (+15% nei primi cinque mesi) mentre l'export italiano perde un altro 4 per cento.
«Se va avanti così, queste conferenze stampa tra quattro anni non le faremo più». Il presidente dell'Anci, Rossano Soldini, rilancia l'allarme sulla Cina alla presentazione del Micam, la fiera che si terrà a Milano da sabato a martedì prossimo.
A metà anno la produzione è diminuita del 4,5%, l'import è aumentato di quasi il 20%, l'occupazione è scesa del 2,8 per cento. Soldini cita il caso di scarpe dove un piccolissimo marchio «made in Macao» è sovrastato da una gigantesca bandiera tricolore. L'industria chiede l'obbligo del marchio di origine, controlli più severi sui falsi marchi made in Italy e confida nel varo di un disegno di legge del Governo al quale l'Anci ha lavorato. Nell'attesa, prova a difendersi da sola.
Il problema Cina attraversa tutta la moda. Secondo uno studio Pambianco il mercato cinese di alta fascia oggi vale 200 milioni di dollari e si svilupperà ancora. E il gigante asiatico è diventato una base produttiva affidabile e di qualità elevata, non soltanto l'immensa fucina di vestiti di fascia bassa: un altro avvertimento per le aziende italiane.
Estratto da Il Sole 24 Ore del 17/09/03 a cura di Pambianconews