L'artigiano Bruno Cattin, che produce maglie per golfisti, che dieci anni fa aveva un'ottantina di dipendenti e adesso arriva a malapena a trenta, che si lamenta perché «guadagno sì e no per cinque mesi all'anno, e meno male che ho qualcosa da parte», del miracolo del Nord-Est, quando tutto pareva possibile e raggiungibile, ha un lontanissimo ricordo. A Belluno sono una ventina i dipendenti al lavoro nei capannoni di Tiziano De Tofol, che produce parti di occhiali per alcuni dei grandi gruppi del distretto (Luxottica, Marcolin, De Rigo, Safilo coprono il 25% del mercato mondiale e il 90% di quello italiano).
Retrovie del miracolo Nord-Est: schiere di artigiani del tessile, dell'abbigliamento e dell'occhialeria combattono quotidianamente una battaglia contro l'offensiva dei mercati orientali.
Le difficoltà dell'artigianato, rimasto da sempre ai margini della delocalizzazione per mancanza di risorse e di un'adeguata flessibilità, erano in qualche modo prevedibili. Meno lo sono invece quelle in cui rischiano ora di trovarsi molte piccole e medie imprese che, dopo anni di profitti su piazze praticamente vergini, si ritrovano a competere, anche su mercati terzi, con quegli stessi Paesi da loro in passato «dominati». «Per la prima volta la pressione sui costi, indotta dalla competizione internazionale, pone in discussione la sopravvivenza di molte imprese manifatturiere della zona» afferma il presidente di Unindustria di Treviso, Sergio Bellato. Non è questione, sia chiaro, di «invocare misure protezionistiche». Il fatto è che «si rischia di essere messi fuori gioco» da competitori, come quelli dell'Estremo Oriente, che oltre ai bassi costi e ad una tecnologia in netta crescita, giocano spesso sporco: «Penso – prosegue Bellato – alla gravissima situazione dei cosiddetti prodotti clonati».
«Il commercio o è regole o non è commercio» ha ammonito nei giorni scorsi il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, dalle colonne del «Corriere», indicando nella Cina e più in generale nei mercati del Far East due locomotive che vanno convogliate sui binari di una precisa regolamentazione. «Attenzione però a non demonizzare l'Orco d'Oriente perché quei mercati, se utilizzati correttamente, sono una risorsa» afferma Marco Tempestini, titolare di un'azienda di maglieria-abbigliamento, 600 dipendenti, stabilimenti sparsi tra Treviso, Manfredonia, la Romania e l'Ungheria. La piaga della pirateria dilaga soprattutto nel settore del lusso: «Si arriva anche a punte del 22% di prodotti falsi» afferma Cirillo Marcolin, amministratore delegato dell'omonima azienda di occhiali e presidente dell'Associazione fabbricanti articoli ottici. Paletti e regole chiede ora il Nord-Est, approfittando anche del semestre Ue a guida italiana. Perché il mito del mercato aperto non diventi un incubo.
Estratto daCorriere della Sera del 23/07/03 a cura di Pambianconews