Il comparto della filatura laniera italiana archivia il 2002 con un calo della produzione settoriale (-14.7% in valore e -11.5% in quantità) fra i più consistenti della storia recente di questa industria. In termini di crescita produttiva, si è infatti trattato del peggior risultato dal 1996; il valore della produzione settoriale (poco più di 3.1 miliardi) è sceso su livelli (nominali) analoghi a quelli dei primi anni '90, mentre se misurato in unità fisiche, la produzione complessiva di filati nel 2002 (383 milioni di kg) è risultata inferiore del 17% circa a quella che ha caratterizzato, in media, lo scorso decennio. Le motivazioni principali che spiegano un andamento complessivo così penalizzante sono ovviamente da ricondurre alle difficoltà attraversate dall'anello successivo della filiera tessile-abbigliamento italiana, ovvero il comparto della tessitura. La filatura italiana sconta infatti un grado di apertura al commercio internazionale significativamente inferiore (pur se negli ultimi anni si è assistito sia a un progressivo incremento della quota di produzione esportata, sia a un aumento dell'importanza relativa delle importazioni) a quello che caratterizza in media il sistema moda italiano e quindi i suoi destini produttivi sono legati a doppio filo alla dinamica del mercato interno, ovvero agli andamenti che si registrano nel comparto della tessitura. E le news su questo fronte non sono state affatto positive. Purtroppo, anche la tessitura italiana, ha avuto nel 2002 il proprio annus horribilis (i cali produttivi registrati sono stati dell'ordine del 12% con punte del -14.2% nel segmento cardato) e ha, giocoforza, ridotto drasticamente i propri acquisti di filati. Gli impulsi recessivi hanno interessato tutte le tipologie produttive e tutti i mercati di sbocco.Nonostante il ruolo preponderante giocato dalla domanda interna nella determinazione del bilancio settoriale, anche il commercio con l'estero ha fornito un lieve impulso recessivo. Le esportazioni di filati lanieri si sono infatti ridotte, lo scorso anno, a 900 milioni di euro (-8.5%) e 89 milioni di kg (-5.5%). Sui mercati UE (che generano circa il 43% del fatturato estero complessivo della filatura made in Italy), si è assistito a un netto calo della capacità di assorbimento del mercato tedesco (-13.3% nei flussi in valore, -12.3% in quantità) che dopo aver perso, già da diversi anni, la leadership della classifica dei maggiori mercati di destinazione in termini di valore (a favore di Hong Kong), è stata scavalcata dalla Francia (che pure ha diminuito del 7.4% i propri acquisti dall'Italia) nel ranking relativo alle quantità di filato acquistato dal nostro paese. Anche sul fronte delle importazioni si è assistito a flessioni non trascurabili (del 6% nei valori e del 5.3% nei quantitativi) ma ciò non ha impedito un deterioramento dell'attivo commerciale settoriale che è sceso a 586 milioni, corrispondenti a 47 milioni di kg. Sul piano congiunturale, dopo una campagna ordini per la primavera-estate 2003 chiusa molto peggio del previsto, le speranze delle aziende di filatura erano riposte nella raccolta per la stagione invernale (che ovviamente gioca un ruolo assolutamente dominante per l'industria laniera): qualche debole segnale di attenuazione delle tendenze ribassiste è emerso sia con riferimento al mercato interno sia per l'estero. Si è trattato tuttavia di segnali molto deboli e #'distorti'' da effetti statistici dovuti al confronto con la stagione invernale 2002 che già segnalava flessioni a due cifre. Troppo poco per riportare in crescita l'attività produttiva che, nelle valutazioni preliminari delle aziende del campione SMI, si avviano ad archiviare anche il secondo trimestre dell'anno con flessioni produttive prossime al 5%.Dal lato della domanda infatti sono state poche le news positive. Sui mercati esteri solo la filatura laniera pettinata ha fatto registrare, nel primo trimestre di quest'anno, un incremento nel valore dei flussi in uscita (+2.3% dopo un consuntivo 2002 in flessione di oltre 5 punti percentuali). Positiva la performance del grande snodo commerciale di Hong Kong (+1.6%) mentre in Europa sono stati quasi esclusivamente i traffici con la Romania a mantenersi dinamici. Per la Germania si può solo parlare di attenuazione delle spinte ribassiste (il -7.2% registrato nel primo trimestre 2003 si confronta infatti con il -22.5% che ha caratterizzato lo scorso anno), mentre il mercato francese si è stabilizzato dopo un 2002 molto penalizzante.
I risultati ottenuti dalla filatura cardata sono stati invece decisamente peggiori. Il fatturato estero delle aziende italiane, dopo essersi ridotto di quasi 16 punti percentuali lo scorso anno, ha continuato a perdere terreno a un ritmo superiore al -15% anche nei primi mesi del 2003.
Fra i primi cinque mercati di destinazione solo l'Ungheria ha incrementato sensibilmente (+39%!) la propria capacità di assorbimento di filati cardati made in Italy conquistando il primo posto nel ranking dei maggiori mercati di sbocco per le produzioni italiane: si tratta di un segnale importante sulla modifica delle rotte europee dei traffici infra-industriali in quanto lo scorso anno il paese est-europeo risultava solamente il nono sbocco commerciale per importanza.
Sul mercato interno, la stagnazione dei consumi di abbigliamento (e le perduranti difficoltà del formalwear in particolare) hanno mantenuto su livelli molto contenuti la domanda rivolta ai produttori di filati per tessitura.
Le produzioni destinate alla maglieria hanno invece subìto, con la tempistica connessa al trasferimento lungo la filiera dei segnali provenienti dal mercato finale, gli effetti negativi di due stagioni (la P/E 2002 e l'A/I 2002-2003) molto deludenti (specie nel segmento maschile) sul fronte dei consumi finali. In questo caso, tuttavia, il contesto di domanda dovrebbe muoversi in senso progressivamente meno penalizzante. Già a partire dalla stagione in corso, infatti, i consumi di maglieria esterna (nelle previsioni di AcNielsen Sita) dovrebbero ricominciare a svilupparsi a ritmi non trascurabili, almeno nel segmento maschile. Dalle stagioni successive dovrebbe essere invece soprattutto il segmento della maglieria femminile a trainare la domanda interna di filati. Sullo sfondo, la filatura italiana risentirà inoltre sempre di più dei mutamenti strutturali che stanno riguardando il sistema moda italiano. L'industria italiana, per rimanere competitiva, sta operando, come noto, su due fronti: da un lato continua a delocalizzare nei paesi emergenti parte delle produzioni basic più soggette a fattori di prezzo e, dall'altro, punta sempre di più sulla continua innovazione di prodotto, sulla specializzazione in particolari nicchie, sulla tempestività nelle consegne (cruciale, stante il continuo incremento della domanda di riassortimento da parte della grande distribuzione organizzata) e sulla valorizzazione del marchio, #entrando' direttamente nel segmento retail con catene di proprietà. Le aziende italiane di filatura si trovano quindi a operare in un contesto in cui a un'evoluzione ciclica non soddisfacente ormai da diverse stagioni, si aggiungono mutamenti strutturali che stanno ridisegnando la geografia produttiva, l'organizzazione interna delle imprese e, più in generale, le strategie per ottenere vantaggi competitivi sostenibili. Le filature made in Italy, nonostante un 2002 da dimenticare, affrontano questa sfida da una posizione nettamente dominante, almeno in ambito UE. Ancora nello scorso anno, le esportazioni di filati italiani verso paesi extra-europei sono risultate infatti, da sole, pari alla somma di quelle dei nostri tre maggiori competitor comunitari.