«Aspettiamo da tre anni che gli enti locali scelgano un'area su cui costruire le nostre nuove fabbriche, ma un cavillo dopo l'altro blocca i nostri investimenti. Alcuni imprenditori stanchi di attendere hanno già delocalizzato nell'Europa dell'Est. Ma adesso la posta in gioco è più alta, senza aree industriali non potremo utilizzare i finanziamenti europei e regionali per il Pit, oltre 33 milioni di euro». Un grido d'allarme quello lanciato dal presidente della sezione tessili dell'Unione industriali di Napoli, Gino Giamundo, imprenditore che guida un gruppo tra i maggiori dell'area.
L'ultimatum è stato lanciato inaspettatamente dalla Regione Campania, dall'assessore alle Attività produttive, Gianfranco Alois. «La Regione, ha detto, vuole sostenere lo sviluppo dei poli produttivi locali e dei sistemi a rete. Ma i distretti devono avere aree industriali disponibili in cui concentrare gli investimenti, altrimenti dovremo dirottare altrove i fondi riservati dalla Regione ai Piani integrati dei distretti». E la torta da impiegare è tutt'altro che di poco conto: parliamo di oltre 33 milioni di euro che potrebbero essere erogati per l'estate, appena il Nucleo di valutazione della Regione avrà completato l'esame.
Ma cosa chiedono gli imprenditori del distretto che si estende da Noia a San Giuseppe? Le loro richieste sono legate alla storia del tutto particolare di quel polo in cui, accanto a un gruppo di imprese ormai consolidate, ancora oggi esiste una forte concentrazione di realtà produttive sommerse. Oggi quel distretto, che riunisce otto comuni, secondo un censimento effettuato dalla Luiss in collaborazione con Ernst & Young, conta oltre 8.400 piccole aziende, prevalentemente tessili, con un giro d'affari di circa 500 milioni di euro e più di mille addetti. Tre consorzi in particolare (Napoli 2001, Cives, Coves), che riuniscono in totale 100 aziende, vorrebbero costruire nuovi impianti e centri servizi, investendo circa 250 milioni di euro.
Estratto da Il Sole 24 Ore del 28/05/03 a cura di Pambianconews