Il nodo numero uno è l'eventuale guerra in Irak, forse accompagnata dal terrorismo. Il numero due è la conseguente inevitabile flessione dello shopping: chi ha voglia di fare acquisti di vestiti, scarpe o borsette in simili momenti? Il nodo numero tre non c'è. Meglio: la moda non può nascondersi più di tanto dietro il dito del rafforzamento dell'euro nei confronti del dollaro e dello yen. Perché, analizzando i ruoli giocati dai tassi di cambio e dalla domanda finale del Paese di destinazione, si scopre che, molto più del cambio, è la propensione ai consumi finali a #governare' il trend delle esportazioni italiane. Anche se in modo differente tra Stati Uniti e Giappone.
è questa la conclusione preliminare di uno studio elaborato da Sistema moda Italia. Un risultato che, oltretutto, potrebbe essere di buon auspicio per il futuro delle centomila imprese del settore moda #allargato', alle prese con una congiuntura che definire difficile è ottimistico. Se infatti molto dipende dall'appeal che il prodotto dimostra nei confronti del consumatore, sta alle imprese concentrare ulteriormente gli sforzi sul versante dell'innovazione, appunto per stimolarne l'interesse.
«Negli Stati Uniti, si legge nell'analisi di Smi, l'elasticità delle esportazioni al cambio è bassa mentre più elevata è quella ai consumi. In altri termini, la crescita dei consumi ha effetti più che proporzionali sulle vendite di made in Italy, mentre per il cambio è vero il contrario: un eventuale apprezzamento dell'euro non si traduce in una flessione delle esportazioni di uguale entità. Questo non vuol dire che l'apprezzamento della moneta unica non sia rilevante, ma forse gli effetti negativi per le nostre esportazioni sono più evidenti in altri mercati, soprattutto emergenti, dell'area dollaro».
Un po' diverso il caso del Sol Levante, dove «il cambio, pur giocando un ruolo inferiore rispetto ai consumi nella spiegazione del trend delle esportazioni italiane, mostra comunque coefficenti nettamente superiori a quelli ottenuti per gli Usa. Le nostre aziende sembrerebbero quindi più esposte a un apprezzamento nei confronti dello yen. Tuttavia anche la sensibilità delle esportazioni all'andamento complessivo dei consumi finali risulta nettamente superiore in Giappone che non negli Usa, denotando come la domanda giapponese rivolta all'Italia sia motto più reattiva al ciclo complessivo dei consumi rispetto a quella americana».
Estratto da Il Sole 24 Ore del 26/02/03 a cura di Pambianconews