Franco Pené: «Facciamo scelte audaci grazie a un punto di pareggio ridotto».
Dice: «Non vorrei sembrare polemico». Aggiunge: « Il fatto è che noi vogliamo dare un contenuto creativo diverso». Osserva: « Nella fashion week di Milano sfilano troppi marchi industriali. Se fossimo andati lì, saremmo sembrati uno dei tanti».
Conclusione: Franco Pené, il presidente della fiorentina Gibo, ha portato agli show di Londra la sua nuova linea, disegnata da Julie Verhoeven, un giovane talento abituato a incursioni anche nei territori dell'arte a dello spettacolo.
Il giudizio è duro anche se espresso sorridendo, ma se c'è qualcuno titolato a parlare di creatività è questo imprenditore di 51 anni dalla carriera molto variegata. Prima assistente all'Università, poi consulente finanziario, un passaggio dall'allora Gft, scuola di molti manager del tessile-abbigliamento, poi amministratore delegato del gruppo Kelemata, oggi è proprietario di un' azienda che è riuscita a produrre gli stilisti più fantasiosi, più creativi e, nello stesso tempo, a vantare un ottimo bilancio, con un fatturato di 44 milioni di euro nel 2002, lo stesso dell'anno precedente. « Un risultato di tutto rispetto – commenta Pené -. Non soltanto perché la congiuntura in genere è stata difficile, ma perché abbiamo dovuto reintegrare due licenze: Helmut Lang, che è stato acquistato dal gruppo Prada, a Alexander McQueen, che è entrato nella galassia di Gucci. Conservare gli stessi volumi ha richiesto uno sforzo doppio, ma nel 2003 dovremmo toccare i 55 milioni».
Quello che ha fatto entrare Gibo tra le migliori medie imprese italiane, secondo lo studio di Pambianco strategie di Impresa (Corriere Economia del 23 dicembre 2003), è l'alto livello di redditività: 9 milioni di euro. C'è una ricetta per ottenerlo? « In assoluto non lo so. Nel nostro caso particolare, gestiamo un' azienda con un breakeven molto basso rispetto alle linee prodotte. Questo ci ha consentito di fare scelte coraggiose a di inventare un mercato per nomi completamente nuovi, esordienti assoluti. Faccio un esempio. Siamo i licenziatari di Viktor & Rolf a siamo partiti da zero perché questi due ragazzi, molto intelligenti a senza risorse, per farsi notare avevano lanciato una collezione di haute couture a Parigi, stravagante a ben visibile, che aveva incantato la moda. Ma non c' era altro e noi stiamo costruendo un pr�t-à-porter, una rete di distribuzione, un'organizzazione».
Un punto di orgoglio aziendale è il rapporto con Hussein Chalayan, il più concettuale dei designer. «L' ho sempre ammirato e l'ho aiutato fin dagli esordi. Ma avevo un contratto con McQueen e sapevo che a Londra c'era, come dire?, una specie di antagonismo tra i due, malgrado entrambi lo smentissero. Quindi è stato naturale chiedere a Chalayan di lavorare con noi non appena McQueen se n'è andato. E adesso insieme stiamo facendo crescere il marchio».
A completare il prezioso bouquet delle licenze Pené elenca Marc Jacobs uomo e Joseph uomo, Jean Colonna uomo a donna, Antonio Berardi, Michael Kors, Paul Smith donna, la prima licenza conquistata nel '93. Inoltre, per i buoni rapporti che intercorrono tra Gibo a il gruppo Lvmh, fornisce «un servizio di favore» – lo definisce cosi – su una parte della produzione di Donna Karan. «Riusciamo a realizzare capi molto complessi perché le difficoltà fanno parte della storia di questa fabbrica, sono un elemento del suo Dna.
E' cresciuta con Jean-Paul Gaultier, ha lavorato con Claude Montana a la designer spagnola Sybilla. I suoi tecnici sono in grado di realizzare qualsiasi lavorazione».
Però quando l'ha rilevata dal gruppo Onward Kashiyama nel '93 era in perdita. « Aveva un rosso di 13 miliardi e mezzo di lire. L'abbiamo rimessa in sesto, suddiviso il rischio tra più licenze a non concentrandoci su una soltanto come ai tempi di Gaultier. Il lavoro è cresciuto a un punto tale che, non potendo ingrandirci a Firenze, abbiamo acquistato un secondo stabilimento vicino a Bergamo. Anche li con personale molto qualificato a capace. Nell'abbigliamento, dove non c'è tecnologia a il 90% è un manufatto, la differenza la fanno le risorse umane, i modellisti, le prototipiste. Chi si assicura i migliori è già a metà della strada».
Dal 1999 è anche azionista, al 50%, con Vittorio Nasuti della Corporate spa, un'azienda di Parma specializzata nella produzione dell'abbigliamento di alta gamma. E' con questa piccola struttura che partecipa alla nuova sfida di Capucci che oggi rinasce come esperienza d'avanguardia del pr�t-à-porter.
Estratto dal Corriereconomia del 24 febbraio a cura di Pambianconews