Nonostante siano da sempre oggetto del desiderio femminile, i gioielli made in Italy non brillano più. Se già i dati 2001 riportavano un raffreddamento dei consumi interni e una forte contrazione delle esportazioni, i primi sei mesi del 2002 (dati Ente fiera Vicenza, su elaborazione dati Istat) hanno fatto registrare nell'area dell'euro una flessione dell'export di oro, argento e gioielli pari al 4,8%.
In particolare, le vendite orafe verso l'area dell'euro hanno subìto nei primi sei mesi un calo del 9,8%, mentre ancora più allarmanti sono alcuni segni meno nei paesi dell'area extra Europa: la crescita degli scambi commerciali verso il Regno Unito (+2,2%) è infatti controbilanciata da pesanti segni meno verso paesi come l'Arabia Saudita, mercato considerato potenzialmente il più consistente del Medioriente, con popolazione in aumento e un'età media ancora piuttosto bassa (-48,1%), la Svizzera (-36%), la Cina (-13%), la Thailandia (-50%) e il Giappone (-9,5%).
«Il mercato interno è in grave difficoltà», ha detto Emanuele de Giovanni, presidente di Confedorafi, «abbiamo una buona prospettiva per i prossimi due-tre mesi visto l'approssimarsi del Natale, periodo in cui normalmente viene realizzato il 30% del fatturato annuo di un'azienda orafa, ma dobbiamo organizzarci in altro modo, perché c'è un grosso punto di domanda su come sarà il 2003. Noi non abbiamo i margini della moda, per questo stiamo pensando a una situazione legislativa che ci consenta di autofinanziarci. Vorremmo investire in comunicazione, creare un marchio che, per intenderci, si avvicini a quello della «pura lana vergine» ma nel settore orafo».