Per un paio di mesi gli operatori del sistema moda hanno dato fiducia a tutti i segnali, anche i più deboli, di rianimazione dei mercati. Tra gennaio e aprile si sono aggrappati ai fotogrammi della ricostituzione degli ordini (+5.1% rispetto al 2001), nella speranza che il secco avvallamento dei dati della produzione, del fatturato e delle esportazioni (rispettivamente -7.7%, -3.2% e, di nuovo, -7.7%) costituisse il colpo di coda delle reazioni emotive �post 11 settembre�. L'intonazione della congiuntura, per un po', è rimasta sospesa ma, settimana dopo settimana, si è capito che il vento non sta andando nella direzione giusta. Di fatto, l'aggancio non c'è stato e il sistema moda, finito il tempo del warming up, torna ai blocchi di partenza: di ripresa si tornerà a parlare in autunno.
Con insolita rassegnazione per un settore abituato a inanellare successi, si prende atto che i giochi del 2002 si stanno chiudendo su livelli inferiori alle attese tanto che molti, oggi, sottoscriverebbero le previsioni �+1.5/2.0% di incremento della produzione� che circolavano lo scorso novembre.
Alla luce dei dati del primo trimestre, l'obiettivo di chiudere l'anno con quantità prodotte invariate rispetto al 2001 implica, da qui a dicembre, un guizzo degli indici della produzione del +2.5%, traguardo che francamente nessuno ritiene più a portata di mano. Questo vale soprattutto negli anelli a monte della filiera T&A, dove i carnet di ordini per filati e tessuti P/E 2003 sono scarni tanto da prefigurare, per i prossimi sei mesi, livelli di attività sostanzialmente allineati con gli amari consuntivi del primo semestre. Anche il recente indebolimento del dollaro sull'euro spinge in questa direzione.
Spingendo lo sguardo più avanti, se l'intonazione dei mercati non si riprenderà nel sell-out dei prossimi mesi, c'è il rischio che il sistema moda italiano doppi il 2002 senza slancio e senza portare acqua alla ripresa del 2003.
L'incerta piega della congiuntura sta facendo emergere una serie di fratture, verticali e orizzontali, nel profilo fino a oggi coeso del sistema moda italiano. In particolare sembrano divaricarsi le strade degli anelli a monte (l'industria tessile) e a valle (maglieria e abbigliamento), delle piccole e grandi imprese, dei subfornitori anonimi e dei grandi marchi globali.
Alcuni drive di competitività sui quali l'industria della moda ha costruito il proprio successo, come la contiguità territoriale dei distretti, il patrimonio di saperi tecnici e organizzativi, la creatività e le piccole dimensioni, non sono più sufficienti a far girare il made in Italy: da qui, ancora una volta, la corsa frenetica alla ricerca di nuove soluzioni, gli investimenti in ricerca e innovazione.
Di questo sforzo sono protagoniste filiere produttive che spesso si distinguono come veri e propri �centri di eccellenza internazionali� nel proprio settore: la cotoniera, la laniera, la serica, la nobilitazione tessile. E spesso appare diverso lo stato d'animo con il quale le filiere a monte affrontano fenomeni come la delocalizzazione e l'internazionalizzazione rispetto a quello, più aperto, dei settori delle confezioni e della maglieria.
Nel 2001 la produzione complessiva degli �anelli a monte� della catena della moda è stata pari a 20.3 miliardi di �; di questi 12.3 m.di (60%) sono stati esportati. Anche se i riflettori mediatici preferiscono i marchi dell'abbigliamento, tutto il sistema moda italiano deve molto ai suoi fornitori italiani di filati e tessuti.
La situazione di disagio che si avverte tra le imprese del settore T&A si spinge decisamente oltre i confini nazionali. Nel 2001 la domanda mondiale di questi prodotti è diminuita, in termini reali, del 2.0%: nei precedenti venti anni una contrazione delle quantità complessive esportate si era verificata solo tre volte, e sempre in corrispondenza di traumi economici e geopolitici: nel 1998, nel 1993 e nel 1981-'82.
Questa volta i mercati, soprattutto nella seconda metà dell'anno, hanno accumulato un carico di tensioni dovute al rallentamento della crescita economica internazionale, agli attentati al World Trade Centre con le conseguenti reazioni militari, e alla perdita di ricchezza finanziaria legata alla caduta degli indici borsistici.
Grazie a una partenza effervescente, l'interscambio dell'industria tessile italiana è riuscito a doppiare il 2001 con un sostanziale consolidamento delle proprie quote sul totale delle importazioni mondiali: queste, infatti, sono risalite al 7.3% dal 6.9% dove erano scivolate l'anno precedente. Le performance migliori sul fronte delle esportazioni si sono avute nel settore dei tessuti in cotone (+19.3%) e in quelli dei filati e dei tessuti di lana pettinata (rispettivamente +11.2 e +8.5%).
Tornando al primo trimestre di quest'anno, i dati ufficiali del commercio estero, come del resto era scontato, ci prospettano un quadro completamente rovesciato con una brusca inversione di tendenza sia nelle esportazioni di filati (-12.9%) sia in quelle di tessuti (-14.6%). In alcune filiere il ridimensionamento delle vendite all'estero ha superato ampiamente le soglie del rebound emotivo e ha fatto affiorare inquietanti problemi di erosione competitiva, soprattutto nei distretti industriali delle piccole imprese.
Il fatto di confrontare i dati riferiti allo stesso periodo di due anni consecutivi (2002 su 2001) consente di quantificare le variazioni intercorse tra due punti sull'asse temporale; in questo caso, lo scarto tra i livelli record del primo trimestre 2001 e quello dell'anno in corso è netto e lascia pochi dubbi sulla china discendente della congiuntura degli ultimi mesi.
Vi sono, tuttavia, anche elementi che propongono, con tanto di indici statistici, quadri che riconducono i problemi dell'industria T&A italiana più alla depressione che copre i mercati internazionali che alla perdita di competitività.
Sull'opaca performance nelle vendite estere di filati e tessuti si possono svolgere ancora alcune riflessioni. In un anno difficile come è stato il 2001 e come si annuncia quello in corso, il brusco calo delle esportazioni non ha assolutamente trovato compensazioni in un analogo incremento delle importazioni; queste, infatti, sono calate più o meno con la stessa rapidità con la quale avevano gonfiato il petto nel periodo immediatamente precedente. Sempre nei primi tre mesi 2002, al calo delle esportazioni corrispondono infatti variazioni sul fronte delle importazioni di filati e tessuti altrettanti nette: -17.8% i filati e -6.8% i tessuti.