Difficile concedere una licenza nelle calzature senza passare dall'Italia. Sette contratti su dieci in tutto il mondo sono stati firmati con i calzaturifici della Penisola. Quasi ovvio che il made in Italy, con l'aiuto di qualche stabilimento in Europa orientale, faccia incetta di marchi casalinghi: dei 72 nomi italiani in licenza, 69 si affidano a produttori connazionali.
Ma il primato rimane anche con i brand stranieri che decidono di affidare all'esterno produzione e distribuzione: 20 dagli Stati Uniti, dieci dalla Francia, sei dalla Gran Bretagna e così via. Una concessione arriva addirittura dalla Turchia. Una ricerca di Pambianco Strategie di Impresa mette in luce la capacità di attrarre le aziende di moda interessate a crescere nel settore. Quasi sempre sono marchi di abbigliamento che cercano di ampliarsi, ma non hanno grosse mire di volumi.
«In futuro, dice Carlo Pambianco, aumenterà questa concentrazione, ma il fenomeno sarà sempre meno diffuso che nell'abbigliamento». Ci sono marchi che hanno la necessità di essere presenti nelle calzature, per rafforzare la propria identità, per completare l'offerta, ai quali però non converrebbe investire direttamente nella produzione o che non hanno la forza e l'esperienza per aggredire i canali di vendita delle calzature.