Il 2002 si specchia nel 2001. L'anno scorso è iniziato bene ed è finito male, quest'anno succederà il contrario. Per la moda è così e anche i calzaturifici si leccano le ferite del dopo 11 settembre, resistono con un ricorso intenso alla cassa integrazione e si preparano a cavalcare il primo accenno di ripresa. I segnali sono attesi a partire da oggi, primo giorno di Micam, la fiera che in quest'edizione porta a Fiera Milano 1.203 espositori, circa 80 in più dell'anno scorso, con oltre duemila collezioni per il prossimo autunno-inverno.
Tutto è legato ai mercati stranieri. I produttori calzaturieri realizzano all'estero oltre quattro quinti del fatturato. Il preconsuntivo 2001 indica un giro d'affari di 8.455 milioni di euro, grazie a un aumento del 2,2% rispetto al 2000: un incremento circoscritto al valore, perché le quantità si sono fermate a 383 milioni di paia, sette in meno dell'anno prima. Anno dopo anno, aumenta il prezzo medio del prodotto italiano, indice di qualità, design e servizio al cliente, armi affilate per contrastare la concorrenza asiatica. Tra gennaio e novembre, le vendite all'estero hanno registrato un balzo del 10,4% in valore, sfiorando i 6,8 miliardi di euro: ma le quantità sono diminuite (-1,7%), portando il prezzo medio industriale a 20,5 euro, il doppio di dieci anni fa.
L'unica nota stonata è sul mercato interno. Nei primi dieci mesi dell'anno, AcNielsen-Sita stima consumi per 4.220 milioni di euro. L'aumento è lieve ma è andato interamente a beneficio degli importatori, che hanno tolto nuovi spazi agli italiani. Nei primi undici mesi sono stati importati quasi 190 milioni di paia di scarpe, per un valore di 1.946 milioni di euro: a parte la Romania, succursale produttiva dell'Italia, si tratta quasi esclusivamente di prodotti di aziende concorrenti.