L'occidente è in guerra, e prima dell'11 settembre non lo sapeva nessuno, neanche Giorgio Armani. La crisi internazionale tende ad accentuare un fenomeno già in atto da qualche tempo: la scoperta della griffe nei paesi emergenti, come il Sud Est Asiatico, la Cina e la Russia.
Armani come interpreta lo spirito del tempo? Mantiene gli investimenti, ma si rivolge a mercati nuovi (il 17 ottobre ha aperto la prima boutique Armani a Mosca oltre al rilancio di quella di Seul in Corea), estende il marchio al settore domestico e alberghiero (il lancio di Armani Casa a New York e Los Angeles) e rafforza il cervello commerciale della società (i 12mila mq della nuova sede di via Bergognone trasformata dal giapponese Tadao Ando).
Dopo l'11 settembre i programmi della griffe non sono cambiati e vanno avanti compresi gli investimenti in Usa.
Il gruppo Armani è cresciuto meno dei concorrenti Gucci (che si è finanziato in Borsa) e Prada (che ha fatto ricorso alle banche), ma guadagna di più in rapporto al fatturato. Lo dimostra l'incidenza del risultato operativo sui ricavi: 19% contro il 14 di Gucci e il 13 di Prada. Nel 2000 il Roe più alto lo ha avuto Prada, mentre se si guarda il Roi (return on investments), il migliore sarebbe di gran lunga Armani (52,3 lire per ogni 100 investite), seguito da Gucci (17,9 lire) e Prada (14,2 lire).
Gli utili sono notevoli, ma non crescono in proporzione al fatturato perchè stanno investendo molto: 200 miliardi l'anno scorso, lo stesso nel 2001. Sono liquidi, e operano in quattro direzioni. Primo, potenziando le loro capacità industriali: hanno creato joint-venture con Vestimenta e con Zegna, finito l'Opa di Simint, comprato le fabbriche del Gft. Secondo, diversificando con Armani Casa e Giorgio Armani Cosmetics. Terzo, nel 2001 aprendo 33 negozi nel mondo e infine costruendo la sede commerciale worldwide in via Bergognone.
sintesi dell'articolo di Enrico Arosio a cura di Pambianconews