Dagli Usa all’Europa, il modello dei department store sconta ancora il momento di crisi, serrati tra la crescita della concorrenza, il successo dell’e-commerce e il calo di interesse da parte di una clientela più giovane più legata alle modalità di acquisto online e ai rivenditori specializzati. Per gli analisti si tratta di un momento di “resa dei conti”, indispensabile per rinnovare il loro business model puntando su differenziazione e valorizzazione dei luoghi storici.
Era il 2020 quando gli analisti decretavano il crack dei department store. Una crisi partita dagli Stati Uniti e arrivata inesorabilmente anche in Europa. Il modello dei grandi magazzini iniziò progressivamente a non funzionare più. La pandemia ha poi amplificato una regressione già in atto, fino ad arrivare ad oggi. “Il modello tradizionale del department store è scosso da qualche anno, come lo è tutto il settore del retail. La distribuzione nel settore della moda e del lusso ha subito cambiamenti epocali, accelerati dalla crisi del Covid che ha dato una spinta allo sviluppo dell’e-commerce e alle aspettative dei consumatori non più invogliati a recarsi nei negozi. I consumatori chiedono ora esperienze di shopping personalizzate o immersive. Quindi c’è l’esigenza di una trasformazione radicale per adattarsi a forti cambiamenti del contesto in cui si opera”, spiega Anne-Manuelle Gaillet, partner di CastaldiPartners.
Alla base di questa crisi dei department store c’è appunto anche la crescita della concorrenza, il successo dell’e-commerce e le politiche di sconti e promozioni massicce che negli ultimi anni non hanno più incontrato le nuove esigenze dei consumatori. “Soprattutto i department store americani sono in un momento di resa dei conti. È un buon momento per innovare e ripensare il modello dei department store per soddisfare le esigenze dei consumatori di oggi. Serve riconcentrarsi sulla proposta di valore del cliente e sfruttare le informazioni sui consumatori a loro disposizione”, afferma Aaron Cheris , partner retail di Bain&Company. Così, nell’ultimo biennio il mondo dei department store si è popolato di M&A, nuovi assetti dirigenziali e nuovi format.
Macy’s, che nel 2023 ha registrato un calo dei ricavi di 1,5 miliardi rispetto all’anno precedente (per un totale di 23 miliardi di dollari, pari a circa 20 miliardi di euro) e un utile netto crollato a 105 milioni di dollari dagli 1,18 miliardi dell’esercizio precedente, ha avviato la chiusura di 150 store entro i prossimi tre anni, di cui 50 già entro la fine del 2024. D’altra parte a febbraio è arrivato un nuovo CEO, Tony Spring, alla guida del gruppo e ha annunciato che entro il 2025 aprirà 30 negozi più piccoli, di circa 3-5mila metri quadrati, ovvero un quinto della superficie media dei suoi flagship in Usa, mentre ha rifiutato un’offerta d’acquisto per oltre 6 miliardi di dollari da parte di Arkhouse Management e Brigade Capital, spinte soprattutto dall’attrattività del patrimonio immobiliare del gruppo di grandi magazzini. Il rifiuto dell’offerta da parte del gruppo Macy’s, che detiene anche i magazzini Bloomingdale’s e Bluemercury, si è poi tradotto in un crollo del titolo in Borsa lo scorso febbraio. Ma la società si è dichiarata ferma nel portare avanti il suo piano di rinnovo anche grazie alla crescita nel segmento lusso e alla semplificazione e modernizzare le operazioni end-to-end. Una strategia simile è stata portata avanti anche da Neiman Marcus, altro gruppo statunitense di department store che detiene in portfolio anche la proprietà dei magazzini Bergdorf Goodman. Dopo aver dichiarato bancarotta assistita, a causa del forte indebitamento a settembre 2020 Neiman Marcus è uscito dal fallimento grazie all’acquisizione da parte del consorzio di società di investimento Davidson Kempner Capital Management, Sixth Street Partners e Pacific Investment Management. Ancora in difficoltà economiche con bilanci in calo, a maggio del 2024 è stato poi rilevato dal gruppo Saks, controllato dalla holding HBC e già proprietario di Saks Fifth Avenue, con un deal da 2,6 miliardi che vede tra i finanziatori anche Amazon. L’obiettivo del deal è portare Neiman Marcus su un posizionamento sempre più lusso organizzando collaborazioni con i luxury brand e programmi fedeltà per i top client. Nordstrom, invece, sta valutando il delisting da Wall Street e sarebbe nel mirino del fondo di private equity Sycamore partners per un deal da 3,4 miliardi. L’ingresso della private equity consentirebbe così di estinguere il debito da 2,9 miliardi di dollari contratto dal department.
In Europa a risentire della crisi sono stati soprattutto la catena spagnola El Corte Inglés e i department store di proprietà della società tedesca Signa Holiding: KaDeWe, Galleria e Globus. La catena spagnola tra il 2021 e il 2022 ha avviato una serie di tagli real estate che avrebbero fatto guadagnare più di 50 milioni di euro, con l’obiettivo di incentrare la distribuzione e l’offerta commerciale in pochi spazi. Una nuova strategia organizzativa che dopo anni di stasi ha portato una chiusura al 2023 di 16,3 miliardi con un +5,4% rispetto all’anno precedente. Invece, appaiono più complesse le dinamiche della società austriaca Signa Holding, guidata da René Benko, che ha dichiarato fallimento all’inizio del 2024 a causa di un debito di circa 5 miliardi di euro e insoluti per 1,16 miliardi. Un crack che va intaccare un impero immobiliare con attivi stimati intorno ai 25 miliardi di euro e che ha visto la cessione delle due controllate di Signa Retail: KaDeWe e Galeria, catena di department store tedesca frutto della fusione tra Karstadt e Kaufhof. Il grande magazzino di Berlino, KaDeWe, è stato rilevato interamente dalla tailandese Central Retail (già azionista al 50,1%), controllante anche di Rinascente, per una cifra di circa un miliardo di euro. Gli oltre 90 magazzini di Galeria, sparsi nel territorio tedesco, sono invece stati acquisiti da una cordata composta da Nrdc equity partners – dell’uomo d’affari newyorkese Richard Baker – e dalla svizzera BB Kapital, del manager e imprenditore tedesco Bernd Beetz, ex ceo di Coty e membro del cda della stessa Galeria. Mentre resta congelato il futuro di Globus, department store svizzero, secondo alcune indiscrezioni Central Group vorrebbe aumentare la sua quota di partecipazione nel grande magazzino londinese Selfridges, rilevato con una joint venture paritetica con Signa Retail nel 2021, passando dal 50% al 60 per cento.
In Francia, il gruppo di department store Galeries Lafayette, pur registrando una crescita a due cifre con i suoi negozi a gestione diretta, vede vacillare i negozi gestiti dal gruppo HPB-Hermione People & Brands, la società di Michel Ohayon, sottoposti a procedura di salvaguardia dal tribunale commerciale di Bordeaux. Il gruppo ha deciso di vendere il Bhv/Marais al gruppo Sgm- Société des Grands Magasins, per concentrarsi sul suo asset principale e ottimizzare i costi. Infine, in Italia resta incerto il futuro di Coin che, pur avendo chiuso il 2023 con 280 milioni di ricavi e un margine operativo positivo, deve gestire un debito di circa 80 milioni per cui i soci hanno avviato una composizione negoziata della crisi, procedura stragiudiziale che serve a mettere in sicurezza le attività dell’azienda. Ad oggi, Coin cerca investitori e, secondo indiscrezioni, starebbe negoziando l’ingresso nel capitale di un fondo o di un gruppo industriale attivo nello stesso settore che andrebbe a rafforzare la compagine azionaria. Tra i nomi emersi e non confermati ci sarebbero quelli di Stefano Beraldo, CEO di Ovs, e Marco Marchi al vertice di Exelite.
Alla luce di questi fatti, uno studio del 2024 di Bain&Company ha notato che il sentiment verso i department store resta positivo solo per gli over 45 mentre è in notevole calo tra i più giovani. “Questi negozi stanno lottando per conquistare i più giovani, fidelizzati invece ai rivenditori specializzati e all’online”, spiegano gli analisti di Bain. “Il modello del department store pieno di articoli di moda ed in particolare di abbigliamento ha i giorni contati in una epoca in cui il consumatore è sempre più sensibile ai temi della sostenibilità”, aggiungono. Infine, per il futuro dei department store, Anne-Manuelle Gaillet di CastaldiPartners individua due pillars: differenziazione e valorizzazione di luoghi storici. “Ne sono un esempio la riqualificazione del Garage Traversi a Milano da parte di Louis Vuitton, oppure, sempre a Milano, l’ex Seminario Arcivescovile ristrutturato dalla famiglia Ferragamo che coniuga hospitality di lusso e shopping di eccellenza, o anche a Venezia con il Fondaco dei Tedeschi. A Parigi, sempre il gruppo Lvmh ha investito nella Samaritaine che era un vecchio grande magazzino dove si trovava di tutto, a buon prezzo ma abbastanza anonimo. Dopo un lungo periodo di chiusura e restauro è rinato come tempio del lusso e albergo 5 stelle. Sempre Parigi vede tra i grandi magazzini più apprezzati dai parigini il Bhv (Bazar de l’Hotel de Ville) situato nel cuore del Marais dove si punta su un concetto di ‘multispecializzazione’ che sposa molto bene le esigenze del consumatore cittadino sempre meno automunito ma nondimeno con esigenze della vita quotidiana da soddisfare”, conclude Gaillet.