Nel distretto fiorentino della pelletteria, la crisi delle aziende che producono per le maison è ormai un dato di fatto. Sebbene non ci siano al momento dati precisi che mettano nero su bianco il rischio deflagrazione del comparto, il campanello d’allarme era trapelato la settimana scorso in un articolo del Corriere Fiorentino dove si parlava di impennata delle domande di cassa integrazione. Come risposta alla concreta difficoltà, Confindustria Firenze e alcune sigle sindacali hanno presentato un Patto di sistema che ha come obiettivo quello di “minimizzare gli impatti sulla filiera”.
Il protocollo d’intesa, siglato nei giorni scorsi tra l’ente confindustriale del territorio insieme alle organizzazioni territoriali di Filctem-Cgil, Femca–Cisl e Uiltec–Uil, ha visto il contribuito della rappresentanza nazionale di Assopellettieri. La parola utilizzata dai promotori del Patto, che sarà poi presentato alla Regione Toscana, è “rilancio” del distretto. “Associazione datoriale e sindacati saranno impegnati a salvaguardare le aziende che hanno fatto dell’eccellenza la loro stella polare, e della legalità e del rispetto delle regole il loro valore aggiunto. Per preservare questo capitale di saper fare, conosciuto e apprezzato nel mondo, sarà necessario adoperarsi per la realizzazione di percorsi di formazione continua, volti all’ulteriore qualificazione e attualizzazione delle competenze e delle professionalità presenti sul territorio”, si legge sul documento.
La richiesta è quindi l’individuazione di politiche industriali mirate, misure finanziarie che supportino l’innovazione delle imprese, nonché il necessario sostegno in tema di ammortizzatori sociali. Non mancano le richieste al mondo della moda. Nel protocollo, spiega la nota, viene auspicato che le aziende capofiliera, anche attraverso un bilanciamento delle produzioni, possano continuare ad alimentare i volumi delle imprese delle filiere produttive del distretto – seppur in misura ridotta – per “consentire la prosecuzione dell’attività anche attraverso un corretto utilizzo degli ammortizzatori sociali”.
Il nodo della questione è, infatti, legato alla diminuzione della domanda del lusso internazionale, una contrazione che si inquadra in un contesto di normalizzazione dei consumi emerso anche negli ultimi bilanci delle maison internazionali. Il trend era già stato attestato dall’ultimo Monitor dei distretti di IntesaSanpaolo relativo ai nove mesi del 2023 dove si evidenziava il caso emblematico del bacino della pelletteria e calzature di Firenze, che ha visto nel periodo in esame una frenata dell’export del 10,7%, ‘perdendo’ quindi 552 milioni di euro rispetto al periodo gennaio-settembre 2022 per un valore complessivo di 4,6 miliardi di euro.
Riguardo alla situazione fiorentina, come sottolinea il Corriere Fiorentino, “i magazzini dei fornitori delle griffe sono pieni”. E aggiunge: “Gli invenduti sono accatastati in magazzini che non li possono più contenere per motivi di spazio, le griffe hanno smesso di fare ordini, le aziende di Scandicci si fermano e devono tutelare i propri conti e i propri lavoratori chiedendo per loro la cassa integrazione”. Di qui, appunto la richiesta congiunta da parte di Confindustria Firenze e dei sindacati. D’altro canto il distretto di Scandicci ha vissuto una vera e propria bolla negli ultimi anni. Come segnala la stampa locale, le aziende di Scandicci, da sole, hanno assunto negli ultimi cinque anni 4mila persone.
C’è, infine, un altro nodo che sembra emergere sul fronte toscano e sarebbe legato legato ad un possibile spostamento della produzione nel Sud Italia. L’ipotesi è emersa in un articolo di alcune settimane fa pubblicato su La Nazione. Nell’articolo il responsabile Cna di Scandicci, Simone Balducci, commentando la crisi del settore, spiegava come “una fetta di produzione, quella di base, (sia) ormai già delocalizzata nel sud Italia, dove si trova manodopera a costo più basso e si trovano incentivi da parte delle istituzioni locali”.