Si allunga l’elenco dei marchi della moda e del lusso che hanno deciso un dietrofront (temporaneo) in Russia, prendendo quindi posizione netta nei confronti del conflitto in Ucraina. Dopo le prime notizie sulle difficoltà da parte di luxury e-tailer e sportswear e i primi annunci sulle chiusure dei negozi, nel fine settimana il lusso si è schierato nettamente annunciando, spesso attraverso i social e LinkedIn, la sospensione delle attività retail nell’area russa.
Anche l’Italia si è mossa in questo senso. Moncler ha infatti deciso di sospendere le proprie attività commerciali in Russia chiudendo da sabato il negozio di Mosca mentre l’operatività del sito e-commerce era già stata sospesa sabato scorso. L’incidenza dei ricavi “russi” per Moncler si attesta sul 2 per cento*. In uno statement su LinkedIn, anche il gruppo Prada, a cui fanno capo anche i marchi Miu Miu, Church’s e Car Shoe, ha annunciato di seguire la scia della sospensione delle attività retail.
Stessa strategia per i colossi francesi: Lvmh a partire da venerdì ha sbarrato gli ingressi delle sue 124 boutique e Kering, al quale fra gli altri fanno capo Gucci, Balenciaga e Bottega Veneta, ha preso la stessa decisione, nella tarda serata di venerdì. Hermès ha dichiarato in un post su LinkedIn che avrebbe chiuso temporaneamente i suoi negozi e sospeso l’attività commerciale in Russia a partire da venerdì sera. Tra i big del lusso sono arrivati statement simili anche da parte di Richemont, gruppo svizzero che controlla i marchi Cartier, Montblanc e Buccellati, e Chanel che ha affidato a un post su LinkedIn la medesima decisione: “Date le crescenti preoccupazioni per la situazione, la crescente incertezza e la complessità per operare, Chanel ha deciso di sospendere temporaneamente tutte le sue attività in Russia. Non spediremo più in Russia, chiuderemo le nostre boutique e abbiamo già sospeso l’e-commerce”.
Oltre al lusso, anche il fast fashion fa marcia indietro nel Paese. Dopo H&M, anche Inditex ha fatto sapere di aver “sospeso tutte le attività in Russia” e che “attuerà un “piano speciale di sostegno” agli oltre 9mila dipendenti nel paese. La Russia rappresenta un mercato importante per il colosso spagnolo: qui hanno sede infatti 502 negozi, di cui 86 dell’insegna Zara, oltre al canale di vendita online. La Russia rappresenta l’8,5% dell’Ebit totale del gruppo. Tra i nomi internazionali che non venderanno temporaneamente più nel Paese c’è anche Puma che ha 100 negozi in Russia e aveva già interrotto le consegne in Russia dopo l’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca e il rivenditore britannico JD Sports Fashion che ha confermato di aver cessato tutte le attività commerciali in Russia attraverso i siti Web dei suoi marchi e i canali all’ingrosso (ma il peso in questo caso è limitato perché Mosca rappresenta meno dello 0,05% dei ricavi annuali).
Inevitabile, quindi, che il peso della guerra e delle sanzioni possa colpire in modo importante tutto il sistema della moda. Secondo gli analisti di Bain&Company i consumatori russi pesano oggi sul mercato mondiale dei beni di lusso per circa il 2-3%, con un’incidenza simile anche sul segmento dei beni di lusso personali (accessori, abbigliamento, hardluxury e beauty) e l’impatto del conflitto sul mercato globale del lusso, sarà legato principalmente alla sua durata e alle conseguenze economico-finanziarie. Guardando al mercato italiano, secondo quanto riportato all’Adnkronos Carlo Capasa, presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana, l’export verso la Russia dell’intero comparto produttivo italiano della moda nel 2021 ammontava a 1,4 miliardi, di cui circa la metà abbigliamento, il resto accessori. A questi andrebbero aggiunti circa 250-300 milioni di acquisti di turisti russi effettuati nei retail italiani. “Il mercato russo rappresenta in tempi normali per la moda italiana circa il 2% delle esportazioni”, sottolinea Capasa.
*notizia modificata il 7 marzo alle ore 14