Il cotone dello Xinjiang diventa un caso politico. E in un Paese, come la Cina, dove la politica tocca tutti gli ambiti della vita quotidiana, anche gli show di moda sono diventati un palcoscenico per il patriottismo. In chiusura dell’ultima edizione della China Fashion Week che si è tenuta dal 24 al 31 marzo (con la partecipazione di 64 marchi, oltre 300 eventi tra cui concorsi di moda, fiere e forum di settore), la stilista Zhou Li è salita sul palco tra gli applausi dopo la sua sfilata con un bouquet di piante di cotone. Lo riporta l’agenzia Reuters, segnalando che la scelta della stilista non è un caso, ma piuttosto un messaggio ben chiaro a favore della Cina e contro il boicottaggio da parte di diversi marchi internazionali di moda che hanno espresso preoccupazione per presunte violazioni dei diritti nella provincia dello Xinjiang, regione chiave per la moda. Qui, infatti, viene prodotto circa il 20% del cotone mondiale.
La stilista cinquantaseienne, a capo del marchio cinese di abbigliamento Sun-Bird, ha voluto sottolineare come i suoi capi utilizzino esclusivamente cotone dello Xinjiang. Una notizia che sarebbe sicuramente passata sotto tono in un contesto differente, ma che in questo momento rappresenta un’importante voce in più nella campagna di rivalsa cinese contro il fashion occidentale. Nei giorni scorsi, si sono infatti avvicendate le notizie di ritorsioni da parte dei consumatori cinesi come anche dei marketplace nei confronti di diversi brand, tra cui H&M, Burberry, Adidas e Nike che si sono schierati più o meno ufficialmente di fronte alle presunte violazioni dei diritti umani nello Xinjiang. Il contraccolpo ha messo i marchi in una posizione scomoda data l’importanza del mercato in Cina, dove l’influenza del governo condiziona anche i social media e certo non disincentiva le campagne patriottiche che prendono di mira i marchi stranieri. Contestualmente, l’Unione Europea, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e il Canada la scorsa settimana hanno imposto sanzioni ai funzionari cinesi, accusandoli di violazioni dei diritti umani nello Xinjiang. La Cina ha negato e ha reagito con sanzioni proprie contro legislatori e accademici. La battaglia dello Xinjiang si è già spostata dalle sedi politiche a quelle commerciali. Adesso, sfila in passerella.