La frenata all’inchiesta parlamentare sulla sostenibilità dell’industria inglese della moda arriva, a sorpresa, dal Governo britannico. Quest’ultimo infatti non inasprirà, al momento, regolamentazioni e sanzioni previste per quanti non rispettino gli standard più elevati in termini di riduzione dell’impatto ambientale e fatichino ad attuare politiche salariali migliori. Non entrerà quindi in vigore, per ora, l’annunciata tassa sugli sprechi (negli scorsi mesi la stampa inglese aveva parlato di 1 penny in più per ogni capo prodotto, ndr).
Per contro, nella sua risposta, il governo si è detto già al lavoro da tempo su leggi che favoriscono una migliore gestione della supply chain, così come sull’innalzamento del salario minimo dei lavoratori. Al vaglio, ci sono anche “misure politiche” per definire le responsabilità dei produttori nei confronti dei consumatori e per una migliore etichettatura dei prodotti. Quello che non aumenterà, in una fase delicata per l’economia inglese, è la pressione fiscale cui le aziende sono sottoposte.
“L’approccio più soft del governo – spiega Business of Fashion – arriva quando parte del settore della moda nel Regno Unito affronta sfide molto intense dal punto di vista finanziario. Le high streets stanno infatti lottando per competere con i colossi dell’online, con gruppi come Arcadia, la controllante di Topshop, che lottano per evitare la bancarotta”.
“I ministri del Governo hanno fallito nel riconoscere la necessità e l’urgenza di cambiare i modelli di business nell’industria della moda che produce abbigliamento a basso costo distruggendo l’ambiente”, ha commentato Mary Creagh, numero uno dell’Environmental Audit Committee (Eac).