Potrebbe essere un’offerta di Simon Property Group, General Growth Properties e Authentic Brands Group a salvare gli store di Aéropostale. Ma si tratterà comunque di un tentativo di rianimazione per un gigante già caduto, vittima della crisi profonda che ha investito le grandi catene retail e che si estende dagli Stati Uniti al Regno Unito e all’Europa. Per chi non ha un posizionamento molto identificato, gli effetti dello spostamento online dello shopping diventano traumatici.
A riportare la notizia di Aéropostale è la stampa americana, secondo cui i tre gruppi avrebbero offerto circa 243,3 milioni di dollari (circa 218,5 milioni di euro) per 229 negozi nel secondo giorno di asta per il retailer, che lo scorso maggio ha richiesto al tribunale di New York la protezione dai creditori tramite la procedura di Chapter 11. Secondo quanto riportato da Wwd, l’offerta della cordata garantirebbe continuità al brand, salvando posti di lavoro, cosa non garantita invece dall’offerta ricevuta nel primo giorno di asta dal fondo Sycamore Partners. Ad oggi il retailer di moda per teenager, che ha chiuso il 2015 con una perdita da quasi 137 milioni di dollari e un calo dei ricavi del 18%, è passato da 800 a 650 vetrine attive.
Il dramma del gigante Usa, appunto, conferma il momento di difficoltà delle grandi catene. Risale allo scorso giugno la chiusura di Bhs, la catena di grandi magazzini inglesi, fondata nel 1928, protagonista del maggiore fallimento del settore nel Regno Unito dopo quello dei grandi magazzini Woolworth nel 2008. Anche Bhs è passato dalla camera di rianimazione, e ora potrebbe conoscere una nuova fase di sviluppo in nuovi mercati grazie all’acquisizione del brand, del network franchising internazionale e dei nomi a dominio registrati da parte del gruppo del Qatar Al Mana.
Anche più clamorosi, per come si sono evoluti, i problemi di insolvenza della tedesca Steilmann, controllante dei marchi Apanage, Kapalua e Stones che, a marzo 2016, ha annunciato di non poter più far fronte ai pagamenti a causa “dell’attuale andamento del business” e di essere pronta a presentare istanza di fallimento. L’annuncio è arrivato, incredibilmente, a pochi mesi dal debutto alla Borsa di Francoforte. L’azienda guidata da Michele Puller ha oggi oltre 8mila dipendenti e più di 1.370 punti vendita al mondo.
Tornando dall’altra parte dell’Atlantico, ristrutturazione in corso, infine, per Macy’s, che ha annunciato la chiusura di 100 dei suoi 675 punti vendita negli Stati Uniti. Già a inizio anno la catena di grandi magazzini, che gestisce anche i punti vendita Bloomingdale’s, aveva comunicato la dismissione di quarantuno store. In questo caso, le fonti di stampa americane hanno indicato più volte il colpevole: lo sviluppo dell’e-commerce.